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Mr. Markion

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Il manager all’americana,Confindustria e la Fiom

Quello che sta succedendo nella Fiat di Marchionne ed in particolare a Mirafiori con il referendum, da lui vinto, sull’accordo del gruppo , ha più di un risvolto interessante.
Da una parte assistiamo ad una ridefinizione del sistema di relazioni industriali , che abbandonata la concertazione, modello dominante negli anni 80 e 90, si sposta sempre più sul modello americano, con le cd deroghe al contratto collettivo nazionale di lavoro, ultimo retaggio del corporativismo fascista.
Questo riposizionamento del Capitale non serve solo, o meglio esclusivamente, a sbarazzarsi dei diritti dei lavoratori, considerati ormai di ostacolo allo svolgimento dell’attività imprenditoriale, che peraltro si svolge sempre più in sede finanaziaria piuttosto che produttiva, ma sottende altre partite.E su questo riprendo quanto magistralmente scritto da Gianfranco la Grassa sul suo blog:
“Venendo al caso concreto, la rottura tra Fiat e Confindustria è ancora legata al vecchio modello della concertazione e della piena subordinazione del ceto politico (e di quello culturale) ai suoi interessi di complementarietà con il Paese predominante dell’area atlantica non significa di per se stesso un salto verso una nostra maggiore autonomia. Intanto, se la Confindustria agnelliana era abituata al pieno assistenzialismo da parte del nostro Stato (della sua spesa pubblica, con quei rivoli secondari necessari a crearsi basi di consenso elettorale presso ceti subordinati, gonfiati oltre il limite della loro utilità sociale), il fatto che Marchionne accetti di rinunciarvi è proprio per sempre il suo ricatto ha solo la funzione di piegare gli operai all’assistenzialismo dello Stato italiano o non significa che non abbia trovato altre fonti (statunitensi) di appoggio, finanziario e altro, dando in cambio la disponibilità a funzionare come loro strumento politico (in specie in Europa e Italia, area in cui il suo settore auto sembra avere ben poche probabilità di divenire redditizio anche in futuro)?
La vittoria del manager Marchionne (il quale ha sempre dimostrato nella sua vita abilità in campo finanziario, non industriale) significa modernizzazione del capitalismo ancora semiborghese (addirittura famigliare) italiano. Significa potenziare quell’aspetto essenziale per l’esistenza di un vero e proprio Stato (cioè gli apparati di forza che svolsero in modo precipuo la politica nel suo senso più specifico di mosse strategiche per il conflitto) adeguato a conquistare una nostra maggiore autonomia. E non nell’immaginario mercato globale bensì nell’arena mondiale, che sarà sempre più investita dal multipolarismo? Direi di non prenderci per i fondelli. La vittoria di Marchionne è pur sempre una vittoria della parte  del nostro sistema economico (produttivo e finanziario) e della sedicente politica (non certo la politica di cui ho detto) al suo servizio che più intende restare complementare, e subordinata (per interesse), ad ambienti statunitensi.
Questa parte confida nella vittoria di Marchionne per tirare un sospiro di sollievo e poter continuare nel maneggio attuale del premier che si barcamena per sopravvivere alla meno peggio, senza alcun respiro strategico. Egli si avvantaggia di un fallimento cosmico dei rinnegati delle varie bandiere, denominati ‘la sinistra’. L’indebolimento di questa, per anni e anni il cavallo su cui puntavano gli ambienti statunitensi più aggressivi  ma anche più subdoli e abili nei loro raggiri e mascheramenti ideologici (perfino ecologici, ambientalisti, ecc.)  lascia spazio a coloro che hanno seguito, obtorto collo, Berlusconi; e fra questi penso (non lo affermo con certezza) vi sia gente come Tremonti, ma non solo lui. Quelli che potrebbero indebolirsi, ed essere quindi parzialmente sacrificati, sono quei settori  di vera modernizzazione, favorevole nel contempo alla nostra maggiore autonomia  scompaginati con mani pulite, il panfilo Britannia, Prodi (non ci si faccia ingannare dalle pantomime di costui con la Gazprom poiché i giri di valzer in questi ambiti sono normali, ma bisogna guardare alle tendenze di fondo; e quelle dell’intera sinistra sono sempre state viscidamente dirette a favorire gli Usa) e via dicendo.”
In pratica stiamo assistendo ad una partita che coinvolge, in modo separato e parallelo, a partite che si intrecciano su diversi livelli e che implicheranno scossoni all’intero sistema economico e sociale italiano.

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