domenica 22 Dicembre 2024

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Nulla di Nuovo sotto il Sole – si dice, ed è una frase con cui si sottintende che le apparenze e le modalità della rappresentazione non ci debbono ingannare: esse potranno pure variare ma la sostanza del processo è là, immutabile. Dunque ogni tempo ha le sue regole e le sue modalità, ma queste appartengono prettamente al dominio della manifestazione e della forma. Ed è indubbio che in questi ultimi anni ciò che sta divenendo dominante è il segno, nelle sue molteplici forme, da quelle effimere del messaggio radiotelevisivo, ad un riemergere confuso della necessità dei simboli, quasi un bisogno ancestrale di tornare ad una origine archetipica. In tutto questo il dominio di ciò che è impatto estetico della rappresentazione ha totalmente debordato, arrivando a permeare ogni aspetto dell’esistenza umana, tanto quasi da non accorgersi di essere invasi in ogni frangente da un bombardamento continuo di suoni, immagini, segni, impulsi elettronici, che hanno l’effetto di stordire, deviare, stancare. Se dovessimo considerare questa saturazione come una sorta di scorza dura che ci allontana sempre di più dalla nostra vera essenza certo non andremmo molto lontano dalla realtà… tuttavia questa è la nostra condizione, lo scenario in cui ci muoviamo e rispetto al quale ci dobbiamo relazionare…
… e su cui in definitiva -salvo un comprensibile desiderio di ritirarsi dal mondo- siamo chiamati ad agire. Lo scenario delle nostre esistenze è dunque quello del mondo della rappresentazione, della società dell’immagine e dell’infinito flusso informativo: tecnicamente possiamo astrarci da esso oppure accettarne il confronto, confronto in cui va in ogni caso sempre presupposta una lotta personale “per la ricerca di senso”…

Se quindi è vero che l’immagine, il look, l’effetto, l’apparenza, la sensazione hanno assunto un ruolo dominante rispetto alla sostanza, e se è al ri-erompere della sostanza nel mondo delle apparenze che miriamo, una chiave di azione decisiva può senza meno essere l’arte. Arte in quanto linguaggio, elemento di riconnessione tra sostanza ideale e realtà, dove sta a noi COSA dire ed il COME dirlo.

Se perciò mi si chiedesse personalmente quale sia lo “scopo sociale” dell’arte, risponderei che oltre ad essere un balsamo per lo spirito, occasione di divertimento e quant’altro a livello personale, essa certamente può e deve avere lo scopo di educare, di indirizzare, di creare percorsi di re-integrazione, di generare linguaggi capaci di ridisegnare l’esistente e di correggere il gusto del “pubblico”. Per di più l’arte per sua natura è potenzialmente anticipatrice di fenomeni di mutazione più vasti, e non è affatto un caso che spesso ai cambiamenti politici siano stati preceduti da movimenti artistici. In questi casi l’arte ha saputo essere avanguardia, ha saputo cogliere il momento o meglio prevenire i tempi, intuire la mutazione se non talora darle forma e corpo.

L’arte – seppur da tempo impoverita e ridotta quasi a merce – ha a ben vedere scopi tuttora alti, nascosti dal gran rutilare dei suoni e delle immagini usa e getta, dalla sua smaterializzazione in impulsi elettronici sempre più incalcolabilmente veloci. Ma è tutto li: la capacità mitopoietica di creare riferimenti ideali, la funzione etica di indirizzo, il ruolo di termometro dei tempi, la capacità di generare segni e diffondere segnali ne rimangono il connotato fondamentale…

Arte PUO’ dunque essere concetto-forza, e l’artista, superando la tentazione solipsistica dell’individualismo fine a se stesso può divenire la voce di una comunità, di un movimento, di un sentire diffuso.

Finora abbiamo parlato astrattamente di “arte” ma tale concetto va senz’altro inteso nel suo senso più ampio, trovando poi nella prassi della realizzazione la giusta gerarchia dei pesi. Indubbiamente c’è arte e arte, ma sicuramente giova avere una visione estensiva del concetto.

Come esempio particolare del senso che può avere in prospettiva una specifica f

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