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Nazional-estetismo?

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Il 5 settembre 2000 Torino rendeva omaggio a Friedrich Nietzsche, il filosofo che tanto ne amò la passione più aristocratica, con un dibattito il cui titolo risuona senz’altro attuale: “Nietzsche: da profeta del Nazismo a filosofo della liberazione?

In quell’occasione, dal Giardino di Piazza Carlo Felice, la tonante voce di Francesco Coppellotti si levò per annunciare l’ora di dire correttamente il “Nazionalsocialismo”, per non ripiegare sul termine demonizzante di “Nazismo”.

Ma è possibile, seppur tra le nebbie sognanti della speculazione, dire il “Nazional-estetismo”?



Nella concezione estetica di Alfred Baeumler vive un recupero totale della forma di ascendenza pitagorico-platonica, recupero che reca con sé l’originarsi dell’Essere, e che ne attesta la presenza anche nel basso mondo degli uomini.


La storia dell’estetica secondo Baeumler è mossa da un duplice conflitto: idea del bello versus concetto dell’arte; platonismo versus neoplatonismo.


La prima contesa si risolve nella concezione platonico-razziale dello stile. L’idea del bello sorge con Platone, che, interrogandosi sulla città giusta, rende politica anche l’estetica. Il concetto dell’arte viene preso in esame da Aristotele: l’incedere scientifico della sua filosofia lo porta a teorizzare la riflessione sulla tecnica artistica. Nei secoli successivi, poi, si dispiega la dialettica tra la metafisica del bello e la teoria dell’arte. Fino a giungere all’inizio del XX secolo, quando la storicità dell’arte, figlia di spazio, tempo e cultura, si scontra con la considerazione platonica dell’opera come “un ‘caso’ della bellezza: per esso [il platonismo] infatti l’unicità non costituisce un problema, perché l’unità intemporale dell’idea ‘si realizza’ nel tempo” (A. Baeumler, Estetica, Edizioni di Ar, Padova, 1999, pp. 141-142). Baeumler risolve il conflitto introducendo il concetto di stile. Già Dehio aveva concepito l’arte come espressione della totalità del popolo. Ma dire “espressione” sa troppo di naturalistico per chi guarda da prospettiva platonica. Mal si accorda con l’essenza monumentale del dorico Platone. Allora ecco lo “stile”, sostituito all’”espressione”. “Il fenomeno dell’arte non è deducibile dalle esperienze vissute e dalle tensioni espressive. Solo la volontà di fissare un contenuto per l’eternità può generare l’arte, e lo stile è la manifestazione di questa volontà. Lo stile monumentale sta all’inizio di ogni arte. Il bisogno di confessioni private non avrebbe mai suscitato la grande arte storica: la stessa arte intima e idillica esiste solo perché vi è un’arte monumentale” (p. 144). Con questa perentoria lezione magistrale Alfred Baeumler riconosce alla Kultur la capacità della forma, la qualità dell’espressione che è l’essenza dello stile. Non sussiste distanza tra forma e volontà di forma: la Kultur diventa così il campo in cui forma e contenuto si manifestano nel medesimo istante. Dunque: non si dà estetica senza politica e non si dà politica senza estetica, come notano anche Marzio Pinottini e Francesco Ingravalle nella presentazione dell’edizione italiana del testo.



Riprendendo la tesi di Panofsky, Baeumler dispiega la sua riflessione anche lungo l’altro conflitto che attraversa l’idea del bello: quello tra platonismo e neoplatonismo. Di tale conflitto non esiste composizione. Delle due l’una: o la monumentalità dello stile o la privatezza della confessione. O la purezza del sole che riscalda la terra o il pallido chiaro di luna che emana sì luce, ma abbandona alla brezza chi l’osserva rapito. La contemplazione è ammessa soltanto come possibilità della funzione, del dover-essere. Ma essa sola non permette di cogliere il Tutto nella sua organicità e, in particolare, lungo

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