Home Alterview Non scherziamo

Non scherziamo

0


Tra indignazione, esasperazione e preoccupazioni la vicenda della stele per Francesco

E’ braccio di ferro sulla memoria di Francesco Cecchin.
Ha avuto inizio con una raccolta di firme in opposizione al suo ricordo lanciata da “intellettuali politicamente corretti” e da avvoltoi vari, sobillati dai suoi stessi assassini.
La loro è una pretesa oscena. No ai giardinetti intitolati al diciassettenne che morì precipitato da un muretto, con le chiavi di casa strette in pugno, in seguito all’aggressione di alcuni adulti comunisti,  perché immortalarne il nome darebbe vita a un “ricordo di parte”. Vi rendete conto? In un Paese dove abbiamo piazze a nome di Walter Rossi e persino aule intitolate a Carlo Giuliani, fanno apparire iniquo il commemorare un giovane assassinato per le sue idee dal momento che queste non coincidono con quelle dei censori auto-eletti. Egli può, concedono essi, venire ricordato, ma solo anonimamente,  insieme a tutte le altre vittime degli anni di piombo, che sarebbero così classificate gerarchicamente.
I Caduti neri rimarrebbero comunque colpevoli di aver sbagliato strada anche se, ci concedono, ucciderli fu magari eccessivo. Mentre i Caduti rossi andrebbero ricordati anch’essi in modo diseguale, con maggior attenzione a chi morì combattendo contro di noi piuttosto che a quelli che si scontrarono con uomini in divisa.
In seconda classe questi, in terza, ma come paria, i nostri.
Su questa pretesa è partito l’attacco ai giardinetti Francesco Cecchin, un’offensiva che ha potuto godere del sostegno continuativo di Repubblica e del Messaggero. Lo stesso giornale che passò alla storia per aver inventato depistaggi sulla strage di Primavalle, cercando d’impedire che fosse fatta giustizia per i giovanissimi fratelli Mattei bruciati vivi, nel loro quartiere popolare, da baldi borghesi rossi in nome della “dittatura del proletariato”.

Ancora il Messaggero

Proprio il Messaggero si è fatto portatore di una notizia che ci dicono esser falsa e priva di ogni fondamento. Secondo questo quotidiano l’amministrazione locale avrebbe accettato di tramutare la dedica della stele per Francesco in un’offerta all’anonimato collettivo, e persino la frase destinata a illustrare il ricordo del giovanissimo assassinato verrebbe modificata in corso d’opera.
Pare proprio che il Messaggero stia delirando. che nulla di tutto ciò sia stato deciso e, anzi che il Municipio e il Campidoglio abbiano rimandato la provocazione al mittente.
Auguriamoci che ciò sia vero, perché sarebbe davvero il minimo che ci si possa attendere, mentre null’altro sarebbe concepibile.
Fatto sta che queste provocazioni hanno suscitato reazioni nella vecchia guardia.
La quale è stufa di registrare che, a oltre trent’anni dal misfatto, “uccidere un fascista” continua a “non essere un reato”.
E non può concepire che da una parte si abbia mamma Verbano che interviene pure per decidere quali occupazioni siano accettabili e quali vadano sgombrate dalla polizia, mentre dall’altra si possa imporre impunemente alla famiglia Cecchin l’umiliazione di una “non opportunità” di dedicare una targa alla memoria del congiunto caduto.

La lista dei firmatari

La reazione immancabile c’è stata. E i soliti vigliacchi hanno provato a strumentalizzarla.
Esasperati, i camerati di Francesco hanno stampato un manifesto con i nomi dei firmatari dell’odioso appello, ricordando quanto sangue abbia generato questo genere di iniziative e rimarcando che, mentre se da un lato tanto chi raccoglie quei proclami quanto le vittime designate si giocano mutualmente la vita, dall’altro essi, i cattivi maestri, non muoiono mai. Una constatazione lineare e inoppugnabile che è stata rovesciata di senso e di contenuto e che gli agitpop hanno presentato – questo manifesto e non quella raccolta firme!- come un’istigazione all’odio. C’è persino – sostengono fingendosi indignati i lacché dei cattivi maestri – una lista di nomi. Come se chi firma un appello pubblico non rendesse pubblico, e proprio in una lista, quello che sostiene.
Se qualcuno raccoglie firme in favore della pedofilia non può davvero rammaricarsi se viene guardato come un orco e un maiale. Non c’è quindi ragione per la quale qualcuno che abbia accettato di discriminare pubblicamente il sangue e la memoria si possa offendere  o preoccupare se la sua perversione viene additata al pubblico ludibrio, perché è un effetto inevitabile dell’ingiusta azione commessa. E bisogna saper fare fronte alle conseguenze dei propri atti. Lo devono capire anche i cattivi maestri che sono usi scagliare il sasso pretendendo che la loro mano sia al tempo stesso celebre nel campo proprio e nascosta alla folla.

Una manifestazione il 7 luglio

Sempre la vecchia guardia, in risposta alle rivelazioni del Messaggero sull’annacquamento del ricordo di Francesco e sullo snaturamento della sua stele, ha indetto per il 7 luglio una manifestazione di protesta in piazza Vescovio. Una manifestazione che va oltre il caso specifico e la sua soluzione. E che nasce dall’indignazione più che dall’esasperazione.
Perché è ovvio che chi ha sangue nelle vene sia indignato. Non tanto dall’azione sobillatrice degli incurabili antifascisti, il cui mentale è costruito su patologici schemi perversi, e dunque, infelice per natura e per struttura, non può che concepire dissennatezze, e ispira più pena che rabbia. L’indignazione è soprattutto frutto della poca energia che traspare dalle risposte date loro da un’amministrazione comunale che, se non altro come esperienze storiche ed umane, proviene dalla stessa appartenenza di Francesco Cecchin. Purtroppo anche nello specifico, come in altri casi, quest’amministrazione sta usando una cautela che non pare propriamente leonina.
Un atteggiamento non vigoroso, il suo, che è la vera causa di queste reazioni. E se poi per giunta i prudenti amministratori si preoccuperanno eccessivamente delle annunciate reazioni che hanno generato, e che gli antifa sicuramente cavalcheranno, c’è da temere che lo scarso vigore possa trasformarsi per sfociare addirittura nell’irrisolutezza.

La dialettica e il Comitato

Intanto, la dialettica del caso, con il suo duplice braccio di ferro, ha finito col rendere centrale proprio l’amministrazione piuttosto che il Comitato promotore che tanto ha fatto per giungere a questo risultato edificante in memoria di Francesco.
Logiche di dinamiche politiche che devono essere controbattute o perlomeno corrette perché, nel bene o nel male, la centralità del Campidoglio, almeno politicamente, è impropria e il destino dei giardinetti Cecchin sta a cuore a tutti i camerati e, tra loro, con particolar ardore al Comitato che nel caos mediatico appare scavalcato, mentre è necessario e forse persino risolutivo che mantenga il suo ruolo fondamentale e che non lo lasci avocare completamente ai media e neppure alle istituzioni delegate.

Niente scuse

Le istituzioni delegate non suscitano una fiducia propriamente incrollabile.
L’impressione generale è che chi è addivenuto a cariche istituzionali provenendo dal Msi sia affetto da una sorta di complesso di colpa o d’inferiorità che  quando entrano in gioco questioni identitarie  lo rende tentennante, almeno sotto i riflettori. L’impressione è che leghisti o forzisti avrebbero più grinta, persino più arroganza, nel rispondere a certe provocazioni. Che non si sentirebbero imbarazzati da una protesta della base, come quella indetta per il 7 luglio, ma che, invece, la capitalizzerebbero a favore di una maggior fermezza.
Il timore, quindi, è che, visto il prudente atteggiamento tenuto verso i censori, la sacrosanta indignazione dei camerati di Francesco possa render più titubante, meno sicura, l’amministrazione, fino a suggerirle alibi spiccioli per eventuali ripensamenti, cedimenti o compromessi.
E’ forse un timore eccessivo, ma prima che sia tardi è opportuno sgombrare il campo da futuri equivoci. Non si può e non si deve rovesciare l’ordine delle cose. Se la sacrosanta protesta della vecchia guardia è davvero causata da un malinteso, e se non si riuscirà – come tutti ci auguriamo e per cui in ogni caso ci adoperiamo –  a far quadrare il cerchio, nessuno se ne venga però  in futuro ad accusare un pugno di “irriducibili” di aver impedito la realizzazione della stele e la chiusura del contenzioso. Non sarebbe credibile. L’indignazione dei camerati di Francesco non ha nulla di censurabile o da cui sia lecito prendere le distanze. Tutt’altro: è uno stato d’animo che va rispettato e con cui sarà doveroso confrontarsi. Al contrario non v’è ragione per dare importanza alle pretese di coloro che si sono opposti alla decisione municipale, né di prendere sul serio le loro strumentalizzazioni dell’indignazione della piazza.
Nessun uomo capitolerebbe sulla stele, né esistono al momento rapporti di forza che ne possano impedire l’erezione.
Il solo problema è quindi di forza morale e di sicurezza di sé, che c’è o non c’è e che, come insegnano tutti gli altri (comunisti, socialisti, leghisti, forzisti) si manifesta soprattutto nel saper cavalcare e assecondare il malumore della propria gente e non di certo nel prenderlo a pretesto per cedimenti ingiustificabili. Ed è allora bene che si sappia che alla prova dei fatti gli alibi non reggono.
Qualunque cosa accada, e comunque evolva una polemica che fin dall’inizio non si sarebbe dovuto consentire ai malati d’antifascismo di scatenare, la stele dev’essere eretta, così com’era stata concepita e senza nessuna modifica.
Altro non ci si venga a raccontare perché non accetteremmo di passare per fessi.
Intanto, noi, vediamo di agire per il meglio.

 

Nessun commento

Exit mobile version