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Ombre cinesi

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I fantasmi della finanza

A seguito della crisi che ha colpito Evergrande e altri attori del gigantesco settore immobiliare cinese, molti investitori e analisti ora guardano ad un altro attore economico, forse più potente di queste ultime. E forse ancora più pericoloso. Sono le banche ombra, o shadow banks. Un sistema parallelo a quello bancario tradizionale, nel corso dell’ultimo decennio si sono legate a doppio filo col settore del real estate cinese, nella buona e nella cattiva sorte. Perché nello shadow banking rientra un po’ di tutto. Ci sono i money market funds e i veicoli di investimento speciali, ma anche, in generale, tutta l’attività di cartolarizzazione che ha permesso al mercato dei derivati di crescere in modo abnorme nel corso degli anni.
E con quella che sembra una “resa dei conti” di ben il 30% del PIL cinese, anche le banche ombra dovranno esporsi al dilemma dei propri capitali, con un’esposizione monstre stimata sui 3 trilioni di dollari (3.000 miliardi), in pratica il 150% del PIL italiano. Malgrado tutto, le banche ombra non sono sempre un pericolo per il settore bancario, ci sono anzi casi in cui può essere più elastica e intraprendente di una banca tradizionale.

Cosa sono le banche ombra
Una banca ombra non è dissimile da una banca normale: entrambi finanziano, forniscono credito e aumentano la liquidità di tutti coloro che lavorano nel settore finanziario. Sono veloci, meno regolamentate rispetto a quelle tradizionali, e possono addirittura arrivare ad essere dei veri e propri fondi di investimento internazionali, come gli hedge fund. Ma la loro potenza di fuoco e di velocità si controbilancia con i loro limiti legali. Non avendo la stessa regolamentazione, non possono avere alcune licenze bancarie, come quella che permetterebbe loro di accedere ai finanziamenti della Banca Centrale o alle reti di sicurezza come l’assicurazione dei depositi e le garanzie del debito del Fondo Interbancario. Non potrebbero nemmeno accettare depositi o fideiussioni a garanzia del finanziamento, infatti sono limitate a quelli a breve termine garantite dall’attività (asset-backed commercial paper) o quelli legati al repo market, in cui i mutuatari offrono delle garanzie specifiche per i propri prestiti.
Davanti a questi “limiti”, però, le banche ombra hanno una dinamicità totalmente diversa da quella di un istituto tradizionale, anche se in genere si parla di intermediari, come un fondo pensione o un SIV (structured investment vehicles), o un hedge fund. Nei casi in cui possono fornire prestiti a lungo termine, possono addirittura formare catene bancarie notevoli, anche legate al settore tradizionale. Con la sola differenza di fornire il credito in modo più efficiente. Il loro segreto è, secondo un report dell’FMI, nella cartolarizzazione, ovvero la trasformazione di beni immateriali in liquidi, così da creare asset solidi e ridurre i rischi avversi. Un sistema che ha permesso loro, secondo uno studio di S&P Global, di arrivare a gestire oltre 239 trilioni di dollari, più del doppio rispetto a quelli del 2008. E circa il 50% di tutti i capitali finanziari nel mondo.

Quali sono i rischi di una banca ombra
Una banca ombra è più veloce, meno regolamentata e più a buon mercato rispetto ad una banca tradizionale. Ma non è protetta. E non lo è mai stata, per questo in più casi le banche ombra hanno rischiato di mettere in crisi le proprie economie. Il problema deriva dalla loro leverage con cui diffondono i rischi di prestiti, mutui e investimenti all’interno del circuito. Non essendo garantiti se non da un sistema di cartolarizzazione autonomo, ed essendo meno regolamentate e più propense a garantire il credito anche a chi non ne ha i requisiti, il rischio è molto più alto. Eppure le banche ombra accettano un livello molto elevato di leverage, anche se non mantengono le stesse riserve finanziarie elevate come quelle presenti nelle banche tradizionali, necessari per l’esposizione di mercato.
Ma avere una leverage alta comporta avere, sì, ottimi profitti nei periodi rosei, ma anche delle colossali perdite in caso di recessione. Perdite il cui rischio è quasi a zero in caso di fondi comuni monetari, ma che aumenta già con SIV o i conduit SPV (Special Purpose Vehicle indirizzati ad una specifica cartolarizzazione). In questi casi, essendo sponsorizzate da banche commerciali, investivano in mercati liquidi a breve termine, concedendo prestiti a soggetti sostanzialmente sicuri. Col tempo, gli investimenti hanno coinvolto società meno liquide, con garanzie limitate anche alla sola ipoteca. Ipoteca che diventava “bene tossico”, come quelli che si sono andati a creare durante la crisi dei mutui subprime (infatti tra il 2007-2009, con la stagione dei pignoramenti, le attività sono diminuite).
Il loro “peccato originale” è nella loro dipendenza al finanziamento a breve termine, che però si mal concigliava con le attività a lungo termine, che richiedono dunque continui rifinanziamenti dal mercato. E quando il mercato di dice di no, arriva il fallimento, come quello di Bear Stearns e Lehman Brothers nel 2008. E non era nemmeno il primo, già nel 1998 una banca ombra fallì in America, l’hedge fund Long-Term Capital Management. Ma la sua moral suaison era tale che venne salvato da diverse grandi banche su richiesta del governo, preoccupato per possibili danni al sistema finanziario più ampio. E non è quello che sta succedendo con alcune banche ombra cinesi?

Il caso del trust Zhongrong e il destino della Cina
Recentemente il professor Giuliano Noci, Prorettore del Politecnico di Milano, durante un’intervista col nostro direttore Leopoldo Gasbarro, aveva notato come il problema non era solo delle varie Evergrande e Country Garden, ma anche delle Zhongrong Trust. La Zhongrong International Trust è una società della finanza ombra iper esposta al settore immobiliare, e la crisi di Evergrande, così come delle 40% intermediare real estate fallite in Cina nell’ultimo anno, l’ha portata a mancare di pagare i proventi ai sottoscrittori dei suoi prodotti di investimento. Un “improvviso prosciugamento della liquidità”, segnala l’azienda. In realtà è quello che succede alle banche ombra quando si ritrovano con attività a lungo termine che però hanno bisogno di continui finanziamenti a breve termine.
Se fosse un debito come quello di Evergrande, stimato oltre i 350 miliardi di dollari, il Dragone non avrebbe problemi di liquidità per coprire il debito, avendo asset clusting sicuri per 2 trilioni di dollari tra USA e Pechino. Il problema è che si stima un debito bancario di circa 3 trilioni, il 50% in più degli asset di copertura statali. Una situazione che Pechino non potrebbe risolvere se non con altra liquidità immessa a sistema (una soluzione criticata dallo stesso prof. Noci). Oppure con una ristrutturazione del debito, e con una serie di riforme che mettano fine al caos delle banche ombra. Anche perché prima della crisi del 2008 il settore della shadow banking era diventato più “ricco” rispetto a quello tradizionale. Appunto, prima della crisi.

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