martedì 30 Aprile 2024

Out of Africa

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La transizione dai sistemi di produzione e consumo di energia basati sui combustibili fossili alle fonti di energia rinnovabile non è più un’idea marginale, considerando il numero di economie globali che punta a trasformare in realtà le proprie aspirazioni di zero emissioni nette.
La transizione rappresenta uno dei modi più validi per mitigare gli impatti del cambiamento climatico di natura antropogenica generato dal rilascio di gas a effetto serra (GHG), in primis l’anidride carbonica. I sistemi energetici globali sono responsabili di circa il 73 percento dei GHG. L’Accordo di Parigi siglato dai governi mondiali nel 2015 in occasione della Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite (COP 21) aveva come fine quello di limitare il riscaldamento globale ben al di sotto di 2°C (preferibilmente 1,5°C) rispetto ai livelli preindustriali.
La transizione è trainata dal progresso tecnologico, dalle nuove politiche energetiche promosse dai governi globali (soprattutto in un contesto post-pandemia di Covid19, oltre che di conflitto tra Russia e Ucraina) e dalle mutate pressioni ambientali, sociali e di governance (ESG) sulle aziende. Le scosse di assestamento della guerra Russia-Ucraina e le inasprite tensioni geopolitiche, per esempio, hanno costretto molte economie a introdurre politiche, leggi e regolamenti per mitigare i rischi strategici legati alla filiera delle risorse energetiche e delle materie prime critiche necessarie per la transizione energetica.
Per ricavare energia dalle fonti rinnovabili servono quantità significative di materie prime critiche (MPC), fondamentali per il programma globale di decarbonizzazione, che spazia dalla produzione di turbine eoliche e reti elettriche a quella di veicoli elettrici (VE). In altre parole, per passare dall’attuale sistema energetico basato sui combustibili fossili a uno più pulito nell’ottica di raggiungere gli obiettivi zero netto del 2050 si rendono necessarie nuove tecnologie energetiche, che si basano su minerali critici quali rame, litio, nichel, manganese, grafite, cobalto e altre terre rare. Se da un lato la filiera di molti di questi minerali è controllata dalla Cina, leader nella produzione o nella trasformazione in almeno una delle fasi critiche della filiera dei minerali e coinvolta nella raffinazione del 90 percento delle terre rare globali e del 70 percento del litio e del cobalto, dall’altro l’Africa vanta la presenza di un enorme bacino di MPC non sfruttato e di un’industria estrattiva che potrebbe soddisfare il fabbisogno di minerali della transizione e consentirle al contempo di cavalcare l’onda delle aspirazioni di industrializzazione da tempo coltivate.

Disponibilità di risorse dell’Africa
L’Africa dispone di una quantità significativa di MPC, abbastanza per alimentare le proprie esigenze energetiche industriali e quelle globali. Attualmente, le stime indicano che 600 milioni di persone, vale a dire il 50 percento degli 1,21 miliardi di abitanti dell’Africa subsahariana, non hanno accesso all’elettricità – deficit che si acuisce maggiormente nell’Africa occidentale, centrale e orientale, dove alcuni Paesi come il Ciad, la Repubblica Democratica del Congo e il Mozambico riportano tassi inferiori al 35 percento. Per i Paesi con tassi di accesso ancora più elevati, la mancanza di forniture ha reso il razionamento dell’energia ancor più impegnativo, come dimostrano i recenti esempi del Sudafrica e del Ghana (2013-2016 e 2023).
L’Africa rimane il continente meno diversificato, e quindi altamente vulnerabile agli shock esterni, come dimostrato dalle recenti pressioni sul costo della vita
Per l’Africa subsahariana, soprattutto in un’ottica di industrializzazione, è necessario che il consumo di energia (elettrica) aumenti di oltre dieci volte rispetto all’attuale consumo medio pro capite di 180 kWh (Sudafrica escluso); il dato è originato dal confronto coi 13.000 kWh pro capite degli Stati Uniti e i 6.500 kWh dell’Europa. Questa energia potrebbe derivare dallo sfruttamento delle MPC e potrebbe consentire di produrre nuove forme di energia più pulita nel continente, oltre ad altre convenzionali quali il gas naturale a combustione pulita. Il continente rappresenta circa il 30 percento delle riserve minerarie mondiali e rispettivamente il 12 percento e l’8 percento delle riserve mondiali di petrolio e gas naturale. Inoltre, dispone del 40 percento dell’oro a livello mondiale, circa il 90 percento del cromo e del platino e le maggiori riserve di cobalto, diamanti, platino e uranio. La sola Africa subsahariana possiede oltre il 50 percento dei minerali critici necessari per la transizione all’energia verde.
Per quanto riguarda il rame, i dati dell’USGS riportano che Zambia e RDC possiedono circa il 5,6 percento delle riserve globali, dal 13,5 percento della produzione estrattiva globale e dal 7,9 percento della raffinazione. Tra gli altri produttori si annoverano Sudafrica, Marocco, Mauritania e Zimbabwe. Tra i maggiori produttori di bauxite, raffinata in allumina e poi fusa in alluminio, vi sono Guinea, Sierra Leone, Mozambico e Ghana. Per quanto riguarda il manganese, nel 2022 Gabon, Costa d’Avorio, Ghana e Sudafrica hanno rappresentato collettivamente il 66 percento della produzione estrattiva. Analogamente, Sudafrica, Zimbabwe, Tanzania, Zambia e Madagascar possiedono depositi significativi di nichel. Infine, Paesi come il Ghana e lo Zimbabwe hanno scoperto importanti risorse di litio nelle rispettive giurisdizioni, mentre altri, come la Namibia, il Mali e l’Etiopia, vantano un significativo potenziale per nuove scoperte, oltre che miniere che entreranno in funzione nei prossimi cinque anni.

Sfruttare le MPC per uno sviluppo inclusivo
Storicamente, nonostante l’abbondanza di risorse energetiche e minerarie, l’Africa ha dovuto affrontare grandi sfide in materia di energia e di industrializzazione. La debolezza della propria base industriale ha reso il continente molto più esposto agli shock commerciali esogeni, dal momento che spesso esporta materie prime con poco valore aggiunto. Il calo del valore manifatturiero ingloba la portata delle sfide dell’industrializzazione dell’Africa: negli ultimi 30 anni la quota della produzione manifatturiera misurata dal prodotto interno lordo (PIL) è diminuita, mentre il portafoglio di esportazioni è divenuto meno complesso e meno diversificato rispetto ad altre regioni. Nei primi anni post-indipendenza, molti Paesi africani erano più prosperi e produttivi rispetto ai loro pari dell’Asia orientale; molte economie asiatiche, un tempo liquidate come “casi disperati”, hanno accresciuto le proprie loro fortune attraverso l’industrializzazione e l’aggiunta di valore, grazie al boom della liberalizzazione e della globalizzazione a partire dagli anni ‘80 e ai conseguenti forti investimenti in capitale umano, per citare degli esempi.

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