domenica 12 Ottobre 2025

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I frutti di Obama: gli arabi accetterebbero lo scudo americano, ma Israele potrebbe attaccare dal Libano

Nella settimana che ha portato all’apertura dei colloqui di Ginevra con il “5+1”, dall’Iran e’ arrivata la conferma dell’esistenza di un secondo impianto per l’arricchimento dell’uranio, situato nella città santa di Qom e subito dopo il test dei missili Shahab-3 la cui gittata può raggiungere perfino la Grecia, la Russia e il Kazakhstan. L’Iran starebbe inoltre lavorando ai progetti Shahab-4 e Shahab-5: quest’ultimo missile avrebbe una gittata di 3.500 km, sarebbe quindi in grado di colpire anche l’India, la Cina e tutta l’Europa, con le sole eccezioni dell’Irlanda e del Portogallo. La comunità internazionale teme che l’Iran stia sviluppando testate atomiche che potrebbero poi essere montate sui missili Shahab. Lo stato di Israele si sente sempre più minacciato, ma anche la quinta flotta americana, di stanza in Qatar e Bahrein, è abbondantemente nel raggio dei missili iraniani. Ma a temere l’Iran sono anche i paesi arabi limitrofi: sia i piccoli e vulnerabili stati del Golfo Persico, quali Kuwait, Qatar, Bahrain e Emirati Arabi Uniti, che i grandi Paesi arabi alleati dell’occidente, cioe’ Egitto, Giordania e Arabia Saudita. I paesi arabi, a differenza di Israele e degli Stati Uniti, non possiedono armi nucleari, e quindi non possono contare sul loro effetto deterrente. Tutto ciò che possono fare, nel caso di un attacco dell’Iran, è affidarsi alla protezione americana. Naturalmente, la possibilità che l’Iran attacchi i paesi arabi è, per il momento, remota.
Nondimeno, sapere che l’Iran è già in grado di attaccare i propri vicini con armi convenzionali, e sta probabilmente preparando armi atomiche, è un motivo di grande inquietudine per il mondo arabo e per gli interessi occidentali nella regione. L’Iran sta, infatti, mostrando i muscoli per ribadire la propria aspirazione ad essere la potenza egemone in Medio Oriente, e per negoziare quindi con la comunità internazionale da una posizione di forza. Il costante supporto alle milizie sciite in Iraq, Libano e Yemen rientrano nella stessa logica di destabilizzazione del mondo arabo. I toni sempre piu’ aggressivi dell’Iran potrebbero innescare, nei paesi arabi, una discussione sull’eventuale necessità di dotarsi di armi atomiche; in altre parole, se l’Iran diventasse una potenza nucleare, anche l’Egitto e l’Arabia Saudita rivendicherebbero il proprio diritto ad esserlo, per legittima difesa. Ciò porterebbe a un’ulteriore proliferazione delle armi atomiche, rendendo la polveriera mediorientale ancora più instabile di quanto già non sia. (si aggiunga al conto che le relazioni tra Usa e Arabia Saudita sono sempre più tese mentre tra la potenza araba e la Russia sono sempre più distese.) Abdul Rahman Al Rashed, general manager dell’influente televisione Al Arabiya, fa notare sul giornale arabo “Al Sharq Al Awsat” che l’Iran è ormai isolato sulla scena internazionale, e che ormai è solo la Cina a sostenerlo. Anche la Russia, stando alle ultime dichiarazioni del presidente Medvedev, sembra aver abbandonato Teheran, molto probabilmente in seguito alla recente decisione di Obama di non schierare lo scudo missilistico americano in Europa.
Sono in molti a pensare che il dietro-front di Obama sia dovuto ad un accordo col Cremlino; in altre parole, gli americani non collocano più i missili ai confini della Russia, se la Russia aiuta gli Stati Uniti e l’Europa a fermare il programma nucleare iraniano. Infatti i missili iraniani possono già colpire la Russia; e, se l’attuale governo iraniano non ha intenzioni ostili verso Mosca, nessuno può fare ipoteche sul futuro, in un paese instabile e lacerato da lotte intestine come l’Iran.
Abdul Rahman Al Rashed si augura che l’isolamento internazionale spinga Teheran a fermarsi, prima che le Nazioni Unite autorizzino un attacco contro l’Iran; o si limitino magari a chiudere un occhio nel caso che qualcun altro decida di farlo. Infatti, i paesi arabi vogliono evitare a tutti i costi una guerra contro l’Iran, non tanto per simpatia nei confronti del vicino persiano, ma perché sono persuasi che un attacco contro l’Iran comporterebbe un’immediata ritorsione contro i paesi limitrofi. Abdul Rahman Al Rashed è esplicito nell’affermare che l'”incubo”, come lo definisce, del nucleare iraniano non minaccia tanto l’occidente e la “fortezza Israele”, ma i paesi arabi. Tariq Alhomayed, direttore di Al Sharq Al Awsat, sottolinea quanto, in questo momento, il regime iraniano sia dilaniato da tensioni interne e delegittimato di fronte al popolo iraniano, dopo le recenti elezioni presidenziali e la loro coda di proteste popolari e brutali repressioni. Il regime potrebbe optare ora per una politica aggressiva all’esterno per distrarre la propria opinione pubblica dai problemi interni, e per ricompattarla intorno alla retorica nazionalistica e religiosa.
Tariq Alhomayed suggerisce che l’Iran, nella sua partita a scacchi, potrebbe in questo momento scegliere di agire attraverso Hezbollah, il movimento sciita libanese controllato dall’Iran. Il Libano si trova, infatti, in una grave crisi politica, dal momento che Saad Hariri, il leader della coalizione pro-occidentale e pro-saudita (e quindi doppiamente anti-iraniana) che ha vinto le elezioni del 7 giugno, non è ancora riuscito, dopo quasi quattro mesi, a formare un governo. Il Libano è quindi, attualmente, estremamente vulnerabile, ed Hezbollah potrebbe, su mandato dell’Iran,sfruttare il vuoto di potere a proprio vantaggio. Al contrario, le pressioni congiunte di Egitto, Giordania e Arabia Saudita su Hamas, nel tentativo di spezzare il legame di quest’ultimo con l’Iran, sembrano dare i primi frutti. Alhomayed riporta un’indiscrezione, secondo cui, pochi giorni fa, un alto esponente di Hamas, incontrando una personalità araba in occasione di una visita di carattere religioso alla Mecca, gli avrebbe confidato che in questo momento Hamas si sente più vicina all’Egitto e all’Arabia Saudita che a qualsiasi altro paese (cioé all’Iran), e che sarebbe pronta a dialogare con il leader di Fatah, Mahmoud Abbas. I segni di distensione tra Hamas e il fronte dei paesi arabi moderati sono comunque più che evidenti: il leader di Hamas Khalid Meshaal, dopo essersi recato nella capitale giordana Amman per la prima volta dopo un esilio di dieci anni in Siria, ha appena incontrato al Cairo il capo dell’intelligence egiziana Omar Suleiman.
Suleiman è il protagonista sia della mediazione tra Hamas e Fatah, sia tra Hamas e Israele, come anche l’emittente iraniana Press Tv dimostra di sapere. L’incontro è stato definito da Meshaal come “estremamente positivo”, riferisce Al Jazeera. L’obiettivo della mediazione egiziana punta a una riconciliazione tra Hamas e Fatah, in lotta da due anni; una tregua tra le due fazioni palestinesi contribuirebbe forse a rilanciare il timido processo di pace arabo-israeliano, ma soprattutto priverebbe l’Iran di un prezioso alleato nella regione. I risultati della distensione si vedono già: mercoledì 30 settembre, fonti ufficiali egiziane, israeliane e di Hamas hanno dichiarato che 20 donne palestinesi saranno liberate da Israele in cambio di informazioni sulle condizioni di Gilad Shalit, il soldato israeliano sequestrato da Hamas nel 2006. In particolare, Hamas dovrebbe consegnare un video che documenta che Gilad è vivo e in buona salute. Questo parziale ma importante risultato è opera dell’incessante mediazione diplomatica egiziana e tedesca tra Hamas e Israele, hanno dichiarato fonti ufficiali.
Una tregua con Hamas permetterebbe  a Israele di allentare la tensione sul fronte meridionale, al confine con la striscia di Gaza, nel caso sempre più probabile di un scontro tra Israele e Hezbollah a nord. Lo scontro potrebbe essere causato sia da un attacco israeliano contro gli impianti atomici iraniani, sia dalla volontà dell’Iran e di Hezbollah di forzare le crisi interne iraniane e libanesi con un atteggiamento sempre più  belligerante. In un contesto così teso e delicato, trovare un casus belli non sarebbe difficile né per Israele né per Hezbollah. E’ da notare che il secondo impianto nucleare dell’Iran, quello la cui esistenza è stata rivelata solo pochi giorni fa, è stato costruito nella città santa sciita di Qom, grande meta di pellegrinaggio e principale centro di studi religiosi del mondo sciita. La scelta non è casuale: se questo sito sarà attaccato, il regime degli ayatollah avrebbe gioco facile ad affermare che gli infedeli stanno bombardando un luogo sacro dell’Islam sciita, ricompattando così la popolazione iraniana e gli sciiti di tutto il mondo nel jihad contro gli empi miscredenti. L’Iran ha, infatti, tutto l’interesse a presentare come un conflitto religioso tra Islam e infedeli la sua partita a scacchi per l’egemonia sul Medio Oriente.

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