Che l’opposizione radicale pretenda equità dagli strumenti dell’oligarchia dominante è grottesco
L’informazione non è mai stata libera e mai lo sarà. Mettetevi l’anima in pace ed agite di conseguenza.
I giornali sono privati, il che esclude praticamente de facto e già in partenza una qualsivoglia completa autonomia e imparzialità. Non sono mai stati liberi, neanche quando attingevano a piene mani dai sussidi pubblici e vendevano migliaia di copie in edicola ogni giorno, non dipendendo come oggi dalla pubblicità e da iniezioni di capitale privato fresco per continuare a tirare a campare. A deciderne la linea è un brulicante esercito di “professionisti”, direttori e redattori stipendiati dall’editore che ne orienta a piacimento indirizzo ed obbiettivi. L’editore, poi, è sempre più un’entità dal profilo difficile da tratteggiare in modo puntuale e definitivo. Può essere il singolo imprenditore animato da interessi personali o di “gruppo” più o meno di alto livello, ma anche il trust di investitori decisi ad alzare la voce e a veicolare la percezione della realtà in modo da piegarla in favore dei propri fini, senza sporcarsi troppo le mani con la politica, delegata ad altri “professionisti”.
Inoltre, anche nell’ipotesi che un organo di informazione nasca dalle intenzioni più pure e nobili, esso sarà sempre e comunque espressione di una linea editoriale più o meno studiata a tavolino. Ed anche i singoli contenuti saranno inevitabilmente legati alle inclinazioni del relativo autore e permeati dei suoi convincimenti, a seconda del grado di onestà intellettuale e lucidità dello stesso.
Insomma il racconto della realtà è e sarà sempre espressione dell’orientamento di un singolo o della “comunità”/gruppo cui tale singolo/organizzazione sente di appartenere, vuole appartenere o a cui vuol rendere servizio.
Non esiste perciò un racconto oggettivo e scientifico degli accadimenti, del reale, essendo il “medium” per l’appunto un mezzo, uno strumento di narrazione.
Non parliamo, insomma, di un Oracolo e capire la struttura del fenomeno è un’utile attività per non sprofondare nella delusione, nell’angoscia e nelle sterili rivendicazioni proprie degli emarginati, degli sconfitti e delle minoranze.
Nell’epoca che stiamo attraversando, quella “multimediale”, in cui spesso si è più spettatori che protagonisti, la dinamica appena descritta ha subito un’accelerata.
Pubblicità, capitale, finanza, élite economiche trasversali ed internazionali, sono oggi infatti i principali burattinai dell’industria dell’informazione e della comunicazione. Stiamo parlando di creatori di caos che pur trovandosi sovente in lotta cannibalesca tra loro convergono nella grande opera di costruzione di un orwelliano ministero della verità, attraverso il progressivo tentativo di instaurazione della dittatura del pensiero unico politicamente corretto e progressista. Essi però agiscono allo stesso tempo anche su altri piani (e sta qui la loro forza e al tempo stesso la debolezza di chi vorrebbe loro opporsi), tentando di disinnescare gli aneliti ribelli come il crescente fronte populista, mediante la creazione artificiale di movimenti-fantoccio controllabili di impronta reazionaria e atlantista e il fomento delle isterie neuroniche dei loro disorientati seguaci.
Ne deriva un sistema dei “mass media” definitivamente privatizzato, di parte e a scopo di lucro, il cui principale obbiettivo è quello di mistificare il racconto degli avvenimenti per fabbricare la “verità” più conveniente, elargita con infera e maliziosa “misericordia” ad una società globale lobotomizzata, sradicata e infantile, stordita dalla sovrabbondanza di input e incapace di comprendere se stessa e le dinamiche che la strangolano per pigrizia, pavidità ed ignoranza.
Ma il progetto si spinge oltre, riuscendo come detto a veicolare anche il pensiero reazionario e di opposizione alla verità preconfezionata, inscenando una dialettica fasulla che è in realtà una recita di marionette più o meno consapevoli.
A completare il quadro, l’ascesa dei social media “made, developed and monitored” in USA, circoli privati dall’accesso gratuito che contano milioni di iscritti e miliardi di interazioni giornaliere, che stanno via via soppiantando i classici mezzi di informazione, anche quelli più recenti e digitalizzati come siti web e blog e la cui vera forza non risiede solo nell’immediatezza della fruibilità e nell’interfaccia accattivante, ma soprattutto nella parvenza di dare “possibilità di scelta” all’utente, nella presunta “pluralità” dei contenuti, nella falsa ma ben raccontata favola della “totale libertà di espressione”. In realtà è palese come la scelta sia limitata alle regole private della “Community”, i contenuti siano eliminabili e censurabili a piacimento da gestori stipendiati e la libertà di espressione valga solo se politicamente corretta ed allineata ai dogmi imposti dagli stregoni del villaggio globale. Insomma, è bene fissare il punto, i microcosmi delle piattaforme create dai colossi della Silicon Valley, così come l’intero sistema dell’informazione, sono la replica cibernetica del sistema democratico e proprio per questo soffrono del suo stesso paradosso: la libertà di espressione è un valore fintanto che non mette a repentaglio la democrazia stessa e non ne critica i valori fondamentali.
Ecco allora spiegata la necessità per il sistema di formare eserciti mercenari di paladini della “cultura democratica”, di fomentare, premiare ed incoraggiare delatori, di codificare senza sosta leggi liberticide, fino ad arrivare alla creazione di una vera e propria psicopolizia al setaccio di opinioni e contenuti eterodossi, vera e propria moderna Inquisizione che utilizza come campo di gioco le suddette piattaforme social private e come arma la nuova censura digitale.
I bavagli però, sono da sempre il mezzo per reprimere il libero pensiero, e una vera avanguardia dovrebbe riuscire a comprendere facilmente come sia impensabile oltre che ridicolo lamentarsi di questi provvedimenti che, lo ripetiamo una volta di più, sono la logica espressione della spietata longa manus che manovra e gestisce strutture private, con interessi privati e regole del gioco private.
Insomma, pregare i colossi dell’informazione e dei social non solo di accettare, ma addirittura di difendere il pensiero radicale o la propaganda antisistema è un ragionamento da retroguardia, che ricorda molto gli inutili e controproducenti piagnistei che accompagnano durante le campagne elettorali le brevi comparsate negli studi televisivi da parte dei partiti minori, che si trasformano sovente in vere e proprie trappole mediatiche.
Il problema da inquadrare, dunque, non è (solo) la censura, ma l’egemonia delle ideologie sovversive e dei poteri forti sull’intera filiera di produzione e diffusione dell’informazione e nella governance dei mass media, da decenni a questa parte.
Partendo da questo assunto, diventa chiaro quindi come sia necessario un repentino ripensamento delle modalità di comunicazione e penetrazione nella società da parte di chi oggi è mediaticamente imbavagliato.
Se pretendere di farsi accettare da un sistema dichiaratamente nemico risulta inefficace e puerile, va altresì evitato il trovarsi impreparati e prestare il fianco a facili attacchi, ormai prevedibili.
Le ultime vicende riguardanti stimati docenti di università sia pubbliche che private, colpevoli di non bene identificati e risibili reati di opinione, nonché il caso comico-grottesco del licenziamento dell’unto chef antifà, passato da icona della sinistra a becero razzista nel giro di un paio di tweet, dimostrano infatti che per la rete si aggira un fantasma anche peggiore della censura: la pubblica denuncia ad orologeria, il linciaggio mediatico, le nuove tecniche di polizia politica applicate con modalità da Stasi o KGB.
Non ci resta dunque che soccombere allo strapotere delle élite internazionaldemocratiche? Dobbiamo chinare la testa alle logiche del potere?
Come sempre la risposta è no.
Piuttosto, proponiamo di tendere ad un atteggiamento virile e guerriero, di studiare approfonditamente le dinamiche che governano la realtà e la storia, e ci auguriamo la definitiva presa di coscienza che la Verità si conquista, va pretesa, senza lamentarsi delle persecuzioni, perché non può esserci Verità senza persecuzione da parte di chi la nega per convenienza o vocazione.
Deve essere chiaro che lo scontro ideologico con il sistema democratico è inevitabile e serve a nulla cercare opportunisticamente di essere “legittimati” da esso. È una guerra e non si fanno prigionieri, su entrambi i fronti.
Ai censori e ai cantastorie dell’evidentemente falsa cantilena del “Disapprovo ciò che dici ma difenderò fino alla morte il tuo diritto di dirlo“, risponderemo come ci insegnano gli eroi, con un sonoro e ardito “me ne frego” ed una tattica arrembante da incursori tra le linee nemiche.