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Perché non possiamo definirci sovranisti

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Ma dobbiamo offrire al populismo un’avanguardia rivoluzionaria

 

L’Ilva e il Mes hanno rilanciato la retorica sovranista, rimasta stranamente assente su Alitalia.
L’opportunità sarebbe ghiotta ma il modo in cui i sovranisti si raffigurano la realtà e vi immaginano soluzioni è sinceramente imbarazzante e tradisce un’impreparazione tanto enorme da fugare le residue speranze che qualcosa di decente possa emergere dagli ambienti che oggi cavalcano il fenomeno populista.

Vittimismo
Il populismo è la reazione sociopsicologica dei cosiddetti perdenti della globalizzazione, o del capitalismo, un fenomeno spontaneo che offrirebbe le condizioni per una rettifica, posto che una classe politica rivoluzionaria la interpretasse e le offrisse soluzioni.
Ciò non avviene. Il sovranismo si nutre di un complottismo vittimista, con il quale fraintende i meccanismi e le strategie dei poteri forti e, assumendo nel suo estremismo nevrotico e parolaio le inquietanti conseguenze mentali di questa psicosi,  si toglie di gioco, favorendoli definitivamente.

Sovranità monetarie e svalutazioni
Si ammanta di certezze monetarie espresse da mediocri apprendisti contabili e da filosofi da Baci Perugina, si trincera dietro la sovranità monetaria che sarebbe, così ci dice, la garanzia della sovranità politica, dimenticando che dal 1945 al 1981 noi la sovranità monetaria ce la siamo data in faccia.
Una sovranità monetaria che nella narrazione sovranista si collega immancabilmente con la politica di svalutazione monetaria, intesa come salutare soltanto da chi si raffigura i nostri competitors di venticinque anni fa e non le attuali economie emergenti e dominanti, dimenticando peraltro che, qualora qualche nazionalbottegaio ne traesse comunque un vantaggio, questo falcidierebbe risparmiatori e pensionati come giustamente comprese Mussolini che si oppose a questa politica economica che definì dei pezzenti.

Nemici
Enfatizzando, e talvolta inventandosi di sana pianta, le opposizioni tra gli interessi italiani e quelli francotedeschi, per un transfert  magico e senza alcuna ragione comprensibile, sposta sui tedeschi tutti gli elementi di cui si nutrì la critica antisemita e antimassonica, e si crogiola in un dualismo virtuale che, per le sue testarde resilienze, incoraggia la passività parassitica del sistema italiano.
Intanto, indicando in un socio-rivale il nemico, quest’ultimo, quello vero, quello che ci domina da quasi ottant’anni, diventa quasi un amico al quale si continuano a lustrare le scarpe.
Completamente ignaro delle dinamiche internazionali, dei conflitti intestini, dell’attuale fase strategica mondiale, quando parla dell’Euro, ad esempio, il sovranismo non si rende conto delle guerre, delle sovversioni, delle rivoluzioni apportate nell’ultimo ventennio dai signori del Dollaro contro la valuta europea per tema, concreta, che sottraesse agli Usa influenze e mercati.
Quando si parla di esercito europeo, il sovranismo salta su perché ridurrebbe la nostra sovranità, una sovranità militare e d’intelligence che ben conosciamo, visto che risponde direttamente alla Nato e non a Roma (ammesso che Roma esista). Non gli passa neppure per l’anticamera del cervello il fatto – ben chiaro a tutti i think tanks delle potenze mondiali – che questo offrirebbe invece un’autonomia europea rispetto all’altra riva dell’Atlantico.

Liberista
Di fronte ai disastri procurati dal capitalismo, dalla globalizzazione, dal clientelismo e dalla democrazia, il sovranismo risponde con formule astratte, copiate alla rinfusa da esempi del passato, estrapolandoli dal contesto e senza riproporli rinnovati nell’attualità.
Peraltro è così prigioniero di quest’immaginario, nostalgico degli anni del consociativismo democristiano, che la sua risposta al capitalismo è bottegaia. La rivoluzione che è corporativa ed è alternativa al liberismo, viene dimenticata. Il sovranismo oscilla tra esaltazioni della deregulation e richiami a un protezionismo per garantire il mercato.

Democratico
Senza alcuna consapevolezza della sociologia del potere e della finzione democratica (sulla quale pure avrebbe dovuto studiare qualcosa nelle biblioteche di famiglia) il sovranismo pretenderebbe di restaurare la sovranità nazionale e la superiorità della politica sull’economia con un semplice successo nelle urne. È rimasto l’unico soggetto politico così sciocco da credere ancora nel pregiudizio democratico. Parla spesso di democrazia violata, da difendere, il che, se non è un’invenzione demagogica, lascia francamente basiti.
L’unica funzione in cui il sovranismo oggi si salva è il suo braccio di ferro con il deep state (che è potere reale) anche se questa sana contrapposizione la vive in controffensiva perché sono gli altri che l’hanno voluta e che l’alimentano.
Il sovranismo sembra muoversi alla cieca in un mondo che non conosce e di cui non riesce a rendersi conto.
Perfino nelle sue forme più evolute, che al momento si riscontrano soprattutto in Fratelli d’Italia, esso partorisce formule inquietanti, come l’Europa degli Stati sovrani. Vale a dire la Non-Europa delle riunioni condominiali, del tutto inadeguata alle sfide mondiali, come lo sarebbe invece l’Europa nazione dei popoli, grande illuminazione degli anni quaranta che si consolidò nei decenni seguenti nell’area cultural-politica alla quale i sovranisti dicono di rifarsi, ma che probabilmente non conoscono se non di sfuggita.

Fallimentare
Questa straordinaria impreparazione, questa visione politica approssimativa, eppur presuntuosa e intollerante perché ha assunto gli aspetti del fondamentalismo ideologico, ha soprattutto il grandissimo difetto di non immaginare un avvenire di potenza né una risposta sistemica ai problemi che denuncia giustamente ma in modo quasi sempre sbagliato.
Per sfidare un sistema e modificare una realtà, tutto serve meno che raffigurarseli in modo trinariciuto senza dotarsi peraltro degli strumenti critici, culturali, economici, organizzativi che consentano un’azione strategica e coinvolgente non sui social ma in una vera e propria mobilitazione esistenziale che non sia da ghetto, riserva o “comunità”.
L’assenza di prospettive concrete, che vadano cioè oltre la raccolta del consenso e lo indirizzino verso qualcosa che non sia il gossip quotidiano, è il dramma di questo sovranismo che è riuscito a porre la retroguardia al posto dell’avanguardia nel rapporto con il fenomeno populista.
E che, se non cambia con la velocità della luce, sarà una delle cause determinanti del fallimento italiano e del ritardo europeo sullo scenario mondiale.

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