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Periferia del mondo

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I mali profondi del Sud

 

Messina, periferia del mondo. Non è una novità; sono centoquarantanove anni che il Sud è riunito al resto d’Italia ma per ben centoventotto (la parentesi è dal 1922 al 1943) è stato trattato da colonia occupata. E, cosa più grave, si considera tale e probabilmente si compiace di vivere in questa condizione.
Apatia, fatalismo, assistenzialismo e arte d’arrangiarsi fanno miscela; c’è molto di retaggio greco ma c’è anche troppo di sudditanza e di terzomondismo.
Hanno torto quei leghisti e quei polentoni che condannano i meridionali come sub-umani; non conoscono la storia e non sanno, o dimenticano facilmente, che fu l’occupazione piemontese a sprofondare nell’indigenza regioni ben più avanzate del Veneto o dei possedimenti pontifici, abbastanza ricche e industrializzate. Le industrie vennero smantellate, i tesori rapiti. La missione mediterranea che sprigionava naturale dalle coste meridionali venne troncata dalle miopie torinesi con magno gaudio della City e il Sud si avviò così all’africanizzazione.
Hanno torto quei leghisti e quei polentoni ma oramai hanno finito con l’avere ragione. Gliela danno, la ragione, i comportamenti più diffusi in Meridione dove il fatalismo si accompagna alla questua, dove la cittadinanza è sudditanza e dove si rispolverano orgogli etno-culturali solo quando si tratta di suddividere i proventi del federalismo fiscale.
Partito del sud.. puah!
Non c’è fiducia nella Polis e non c’è fiducia nelle istituzioni. Allora prevalgono le mafie, e tutti puntuali nel manifestare come pagliacci con l’aria severa e indignata contro la cultura di mafia. Ma qualcuno si è chiesto perché vige questa cultura? Non perché, come lasciano credere i marxisti doc, c’è povertà e disocupazione, che esiste anche dove non ci sono mafie, ma perché le istituzioni – coloniali – hanno identificato e sostenuto i loro capi tribali, così come fanno in Africa, per garantirsi appunto gli equilibri coloniali. In cambio c’è corruzione. La corruzione su cui ha puntato il dito Bortolaso come se fosse un’anomalia e non già uno stato diffuso di cui sono complici tutti.
La mafia nasce per sopperire all’assenza di uno Stato e per amministrare in proprio una qualsiasi giustizia in terra conquistata. Dopo l’unificazione italiana la mafia, a causa delle emigrazioni in America, si trasforma in impresa criminale. Sconfitta dal fascismo si rialza  approntando le basi per lo sbarco americano. E’ la “Liberazione” che coincide, in tutto il sud, con il dominio della mafia criminale.

Come togliersi di dosso la mafia che, essendo l’ammortizzatore e il filtro tra i colonizzatori e i colonizzati è percepita, a differenza di uno “Stato” abbastanza straniero, come istituzione che prende ma in cambio qualcosa dà? Solo creando infrastrutture, ridando all’Italia una politica mediterranea, riducendo se non tagliando completamente i sovvenzionamenti per il sottosviluppo, uscendo praticamente dal torpore.
Si tratta di riacquisire centralità, coraggio, di abbandonare l’apatia, di produrre, di smettere la logica clientelare in politica, di farla finita con i piagnistei per le offese leghiste e con la questua per i fondi pubblici.
Bisogna partire da se stessi e rovesciare la cultura della democrazia delegata che non è soltanto complementare alla mafia ma che è ancor più responsabile delle cosche perché le ha sdoganate, le ha messe in sella, le garantisce, le perpetua e spartisce con esse.
Bisogna cambiare tutto; purtroppo è molto improbabile ma lì si dovrebbe passare per una buona dittatura. In mancanza di ciò bisogna comunque  rimboccarsi le maniche e piantarla di fare le vittime o di stare in attesa. E magari sarebbe il caso di ricordarsi di tutto ciò il prossimo 25 aprile Bortolaso.

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