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I futures di Fini dimostrano subito per che cosa sono nati

Prima votazione antigovernativa da parte dei futures. Gli arancio-finiani hanno sostenuto la proposta dei radicali di bocciare sostanzialmente il trattato con la Libia sul respingimento alle frontiere.
Come è noto, quel trattato ha ridotto la pressione migratoria in Italia scatenando le proteste della Cei, della Caritas (che d’immigrazione vive) e della nomenklatura UE.
Chi avesse  nutrito qualche dubbio sugli intendimenti del soggetto finiano, old soul e new age e  avesse quindi preso i nostri avvertimenti come deliri dietrologici, è servito.
Il dato politico non sta tanto nell’aver messo in minoranza il governo, come oggi si affannano a sostenere i giornali, quanto nel significato della votazione di martedì 9 novembre.
Rispondendo al loro mentore, il campione di capriole Gianfranco Fini, capace di rinnegare, dopo il fascismo e la repubblica presidenziale anche le leggi che portano il suo nome, i futures stanno cercando di compiacere le oligarchie cosmopolite per “rimuovere l’eccezione italiana”.
Quest’eccezione, secondo il disinvolto interprete del ruolo di Presidente della Camera, attesterebbe un’arretratezza italiana. In effetti l’Italia è l’unico Paese occidentale in cui la tendenza populista è istituzionalizzata. Questo fatto ha dato voce e respiro ai populismi in giro per l’Europa.
Per i politicamente corretti, ovvero per gli stolti e presuntuosi mandarini dei paradisi artificiali, ciò è letteralmente inaccettabile.
Peccato che i paradisi artificiali abbiano condotto ovunque, a partire dagli Stati Uniti, alla costituzione di bidonville, di jungle metropolitane in preda al multirazzismo.
Che abbiano prodotto ovunque lo svilimento delle culture e delle lingue locali, costruendo non delle società aperte, come sognavano gli utopisti, ma  ghetti di plebi sradicate ed americanizzate.
Dai Paesi che sono stati letteralmente minati dalle stesse leggi che oggi i futures vogliono introdurre in Italia, in particolare mediante Granata, si odono sempre più grida di protesta e si cerca disperatamente di uscirne fuori. Non da parte di minoranze rifacentesi al Male Assoluto finiano, ma da ambienti variegati, ivi comprese le sinistre francotedesche; in certi casi la tendenza si afferma pure sorprendentemente e controcorrente in ambienti che dovrebbero essere cosmopoliti, come la banca o addirittura la Commissione Trilateral.
I futures, che in realtà sono dei passatisti proustiani che approdano con trent’anni di ritardo ai lidi dei mandarini progressisti, si propongono come coloro che vogliono impedire il sussulto di dignità e di vitalità oggi in atto.
Il loro è un progetto steminazionista, in senso etnoculturale, anzi equisterminazionista , nel senso che questo massacro riguarda e minaccia autoctoni ed immigrati a pari titolo.
Viene spacciato – in parte per autoconvincimento – come un progetto buonista e accogliente.
Di fatto è l’esatto contrario.
Chi, come noi, ha affrontato da sempre la questione in termini articolati ma realistici e con uno spirito ben lontano dalla xenofobia, chi, come noi, ha vissuto in Francia e in Belgio, sa che tutte le aberrazioni contro cui si ergerebbero le “leggi Granata” sono intrinseche a quelle leggi e ne sono pure il prodotto.
Nel rispetto reciproco dei popoli e delle culture, nella cooperazione (ovvero nella fuoriuscita dal liberismo e dal colonialismo multinazionale), nel recupero – per quel che riguarda l’Italia – della vocazione mediterranea e della linea politica che da Crispi a Craxi, passando per Mussolini, ci ha dato sovranità, sta la soluzione. L’unica soluzione: il resto è puro genocidio.
Nelle leggi Granata ci sono disastro, tragedia e distruzione.
E c’è persino di peggio di una totale, superficiale, irresponsabilità. Nelle proposte dei futures mascherate da buonismo hollywoodiano, c’è una totale rivoluzione del codice di nazionalità. Esso non si fonda affatto sul rispetto degli immigrati. Che rispetto si ha di qualcuno se, per rispettarlo, gli si offre, non i pari diritti e il soggiorno, ma una cittadinanza altrui? E’ come dire che la sua non vale nulla. Di fatto lo si disprezza e se ne calpesta la cultura.
Si fonda invece, tutta la tendenza finiana, su di un’ideologia, quella internazionalista che fa della Nazione un incidente di percorso. Il che si evince perfettamente da come la definiscono i futures nelle loro esternazioni.
E dire che la chiamano Patria con la p rigorosamente maiuscola!
Delle due l’una: o non sanno cosa significa questa parola, oppure vogliono farne un’astrazione museale, un ricordo per quelli che, in futuro (quel futuro che essi vorrebbero fare) non potranno che guardare indietro per domandarsi “com’eravamo”, anzi “com’erano i nostri padri” perché essi non avranno più alcuna specificità, alcuna radice, alcun destino e alcun futuro.
Questo rimarrà esclusivamente ai sabotatori finiani: sotto forma di pensioni dorate.
Allora si che potranno dire, con soddisfazione, di averlo fatto.

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