Come si fa a stare con Gianfranco Fini?
E, soprattutto, come fanno a mettersi oggi con lui alcuni che fino a ieri lanciavano anatemi contro chiunque – tra cui io – osasse anche solo frequentare chi non era uscito dal partito della svolta di Fiuggi?
Come possono appoggiare quell’individuo persone che a lungo avevano inveito contro le sue invettive antifasciste, facendosi anche prendere la mano nel proprio coinvolgimento emotivo?
Come riescono a parteggiare oggi per il Camerier-sedizioso addirittura contro il presidenzialismo e in sintonia con D’Alema?
Non capiranno
Vada che non capiscono cosa accade. Vada che non si rendono conto di cosa stia rappresentando Fini, sia come interessi che come traguardi. E’ possibile che non abbiano colto la sua totale subordinazione alle logge inglesi. E’ anche probabile che non siano in grado di leggere con linearità i profili dei suoi principali sponseres di oggi né di capire che la sua “innovazione” ideologico programmatica, contrabbandata come indipendenza morale dal Vaticano, non significa invece altro che l’occupazione – richiesta e pilotata – dello spazio pannelliano che sta evaporando e che i medium brothers vogliono mantenere a qualsiasi costo.
Poniamo pure che non si rendano conto che il Fini del nuovo corso è il massimo garante del vecchiume, il ripropositore della Repubblica Conciliare, cosa assai evidente da tutte le affermazioni dei suoi ipotetici alleati, da Rutelli a D’Alema.
E’ anche probabile che non abbiano assistito alla performance arrogante di quest’ultimo la scorsa estate alla festa di Atreju e che non abbiano ascoltato le sue affermazioni.
Il Massimo del Pd non ebbe peli sulla lingua: con Fini ci s’intende e con Berlusconi no, ha sostenuto, perché il premier non è consociativo mentre il Gianfranco vostro è disponibile alle spartizioni.
Sono complessati
Poniamo che non abbiano capito tutto questo, e che siano inquadrati per pure, ma forti, ragioni della psiche con l’uomo della Rsi-MaleAssoluto e con la pattuglia dei suoi che per insultare i colleghi li chiama “fascisti”.
Da un punto di vista di etica basilare io sinceramente non lo comprendo, prima ancora di rifiutarlo.
Va bene che viviamo in un Paese dove, come ha ricordato giustamente Mughini nel ricordo di Giano Accame, la gente si dimentica perfino di avere giurato.
Penso però che ci sia un limite a tutto, ma evidentemente m’illudo.
Da un punto di vista politico poi, come possa un uomo libero, o anche solo che punti alla libertà, accodarsi al portatore di un progetto così liberticida, così sostenitore dei privilegi delle nomenklature, così intriso di frasi politicamente corrette, che è antipopulista in modi e con termini di censura tipici della peggior gauche mandarina, io non lo so.
Quale sia il motivo per cui molti di quelli che ieri lanciavano strali e oggi si scoprono filofiniani però lo capisco: sono dei complessati.
A sinistra Fini non è messo all’indice e i populisti sì; poco importa che la gente stia con i populisti, per certi miei coetanei importa più di ogni cosa la considerazione della sinistra. Ovviamente di quella borghese, intellettuale, non di quella ruspante.
Il frutto della mendicanza
Sento parlare sempre con maggior nostalgia dei campi hobbit. Per certuni è la nostalgia degli anni verdi. Per i più è invece l’amarcord del peggio che quei campi – interessanti per altri versi – produssero: cioè l’individualismo, la ricerca (dicasi ricerca e non affermazione) del consenso. Con il rifiuto delle gerarchie e l’affannosa dimostrazione di non essere catalogabili come fascisti.
Per alcuni, stanchi di essere messi al bando, al confino, in galera, di essere additati, disprezzati, calpestati, emarginati, si trattò di un enorme “sono diverso da come mi catalogate, accettatemi!”
Di gente così ne ho conosciuta a decine e mi hanno sempre dato più fastidio di chiunque altro: dei comunisti che ci sparavano, dei giudici che ci blindavano. Solo i giornalisti, forse, valevano quanto loro.
Alcuni di questi hanno fatto carriera, qualcuno è assessore.
I più sono spariti ma hanno lasciato una sottile traccia velenosa e ammorbante. E altri, coetanei loro e miei, si ritrovano oggi prigionieri di un complesso che si è imposto sulla viltà e sulla mendicanza. Ed è questo complesso che li spinge a preferire – per riflessi condizionati – chi ha il placet della gauche, di quella sinistra cui diversi hobbitisti chiesero a lungo, inutilmente, l’elemosina.
Per questo giungono a stare con Fini, con quel Fini che ha tradito sempre tutto, con quel Fini che è cresciuto e si è fatta una carriera sullo stesso sangue che poi ha demonizzato, con quel Fini che sta dalla parte opposta degli interessi e soprattutto della fierezza del nostro popolo e della nostra nazione.
Con quel Fini che sta con Draghi, Montezemolo, la City, la Chatham House e, proprio per questo, è consociativo con la sinistra post-comunista e da questa è portato in palmo di mano.
Se queste sono le sue armate
Da queste pallide figure angosciate, da questi intellettuali di gomma americana, da questi amanti non dell’uniforme ma dell’uniformità, da questi grigi sopravvissuti a una gioventù che non si godettero, da questi cinquantenni che rincorrono al tempo stesso i propri venti anni e un cenno di assenso dalla sinistra borghese, da questi viene il sostegno alla congiura finiana.
Se così stanno le cose, se è su questa gente che conta l’ultimo baluardo antipresidenzialista del capitalismo consociativo e della democrazia delle spartizioni senza arbitro, possiamo essere ottimisti. E’ gente che non vince mai.