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Quelli che ora condannano Gheddafi

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Solo perché i padroni hanno deciso di cambiare cammello

Nella vendita di armi alla Libia non si salva nessun Paese europeo. Complessivamente i Paesi dell’Unione tra il 2009 e il 2010 hanno esportato verso il paese nordafricano armamenti per quasi 687 milioni di euro.
La piccola Malta ha spedito 79,7 milioni di euro di armi leggere, il Belgio ha assicurato le forniture di sostanze chimiche utilizzate dai militari per sedare la sommosse e di 22 mila granate, mentre la Bulgaria ha spedito 4 milioni di euro di pistole calibro 20.
Ma anche le grandi potenze non si sono fatte trovare impreparate: la Germania si è occupata del rifornimento del corpo navale (43,2 milioni di euro), il Regno Unito dell’equipaggiamento elettronico (20,6 milioni di euro), la Francia si ティ presa, invece, ordini di veicoli corazzati per 17,5 milioni di euro.
La corsa all’armamento libico, secondo Paul Holtom, l’esperto di armamenti del Sipri svedese, è cominciata proprio dopo la fine dell’embargo Onu nel 2003. Le Nazioni Unite, dopo aver ritenuto la Libia responsabile dell’attentato di Lockerbie in Scozia del 1988 dove morirno 270 civili, imposero l’embargo sulle armi, il blocco aereo e bancario (congelamento di fondi libici all’estero), e l’interruzione sulle forniture di beni e servizi civili legati all’industria petrolifera. Il Colonnello, bisognoso di riconquistare il controllo militare e di vendere petrolio, non perse tempo. Già nel 1999 consegnò i due sospetti responsabili dell’attentato alle autorità internazionali, nel 2003 si accordò con Usa e Gran Bretagna per il pagamento di 2,7 miliardi di dollari alle famiglie delle vittime, fin quando, il 12 settembre dello stesso anno, il Consiglio di Sicurezza revocò le sanzioni.
Nel giro di qualche settimana alti diplomatici britannici, francesi e ita liani si precipitarono a Tripoli per accaparrarsi un pezzo di torta del petrolio (leggi l’articolo sui principali importatori di oro nero libico), mentre gli industriali delle armi, quando hanno intuito che Gheddafi sul fronte militare non avrebbe badato a spese (il 3,9% del Prodotto interno lordo del Paese, 3,12 miliardi di dollari all’anno, è destinato a spese militari), si sono messi in allerta.
“In Europa non mancano le leggi”, ha detto Ottfried Nassauer della Ong tedesca Bits che si occupa di monitorare il mercato delle armi. “La giurisprudenza sia a livello locale sia a livello sovranazionale è pervasa di etica antimilitare, ma, gli interessi economici in gioco sono troppo grandi”.
La Libia ha il coltello dalla parte del manico, ha detto Nassauer. “Fornisce il 12% del petrolio alla Germania e può manipolare il prezzo dell’energia”. E Gheddafi, dalla sua posizione, può anche aver chiesto alla Germania il restyling della propria flotta.
Il Regno Unito ha tentato di far buon viso a cattivo gioco. Nel 2008 ha bloccato il carico partito dalla Guns di York di 130 mila kalashnikov destinati a Tripoli che sarebbero poi arrivati in Sudan per armare le violenze del Darfur.
Il 18 febbraio scorso, all’indomani dei disordini egiziani, con Bengasi asserragliata dagli scontri, il governo ha revocato 44 licenze ai suoi armieri che vendono nel Nord Africa, otto dei quali impegnati con la Libia. “Questo governo prende molto sul serio il controllo delle esportazioni”, ha spiegato il sottosegretario di Stato per l’estero Alistair Burt. Eppure nel tour mediorientale di questi giorni, il premier David Cameron ha scelto di portare con sì Ian King, uno degli uomini chiave della ditta di armi Bae Systems, oltre ai delegati di Rolls Royce e Thales. Mentre l’Italia nella ex colonia nordafricana è riuscita a guadagnarsi le commesse più ricche anche grazie alla moral suasion messa in atto agli inizi degli anni 2000. Furono i suoi delegati a convincere Bruxelles a cancellare le sanzioni alla Libia. L’Italia usò la scusa del controllo dei flussi migratori che trovò favori tra gli alleati europei.

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