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Questi non la vogliono capire

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Pensano sempre di fare i furbi ma i giochi sono fatti.

Se vuoi i soldi condominiali europei devi adeguarti, se non vuoi adeguarti fai da te. Ambo le soluzioni sono possibili ma con altra gente. Non solo con altri politici ma con altro popolo

Con un tempismo a dir poco sorprendente con l’apertura di un ampio dibattito sui piani italiani per il Recovery Fund e con la fase di maggiore crisi del governo Conte II nel contesto dell’emergenza pandemica sono arrivati, come veri e propri macigni, gli annunci dell’apertura di nuove procedure d’infrazione verso Roma da parte della Commissione europea.
Stanti gli articoli 258 e 259 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione europea, la procedura d’infrazione è definita come l’indagine aperta dalla Commissione per verificare se uno Stato membro, in ogni sua articolazione e potere, abbia potenzialmente violato un’obbligazione legata al diritto comunitario. Essa può portare, in ultima istanza, a una sanzione del Paese oggetto d’inchiesta.
Sono sette le decisioni di infrazione che, a vari livelli, hanno riguardato l’Italia nel mese di dicembre. Si va da questioni riguardanti l’abuso dei contratti a tempo determinato nel settore pubblico al tema della messa in sicurezza delle gallerie sopra i 500 metri in base a una direttiva del 2004: l’Europa mette pressione a Roma su diversi dossier, ma sono due in particolare quelli di peso specifico maggiore che si intrecciano direttamente con le prospettive di medio termine del sistema Paese e con i progetti del Recovery Fund. Per i quali, per inciso, il governo giallorosso non è ancora pronto.
Le procedure di infrazione aperte nel mese di dicembre che maggiormente destano preoccupazione a Roma riguardano le concessione demaniali sulle spiagge e le esenzioni fiscali alle attività portuali. Due temi estremamente complessi che si riflettono sulla preparazione delle strategie per il fondo europeo per la ripresa post-Covid.

Il Dl Rilancio ha aperto la strada alla proroga fino al 2033 delle concessioni demaniali, che varrà solo per chi le esercita nelle spiagge, come previsto dalla legge di Bilancio 2019. Un provvedimento che ha fatto fortemente discutere, ha creato una spaccatura in Italia tra comuni e regioni schierate sul fronte dei favorevoli e istituzioni omologhe fortmenete contrarie. Sul settore però pendeva la spada di Damocle della discussa direttiva Bolkestein che, al contrario, apriva il mercato anche a imprenditori internazionali e alla concorrenza in un settore ritenuto da Bruxelles estremamente protetto nel contesto del Belpaese. L’Italia però ha sempre sempre agito da sé, rinnovando automaticamente le concessioni agli storici gestori, ma senza poter ridiscutere i canoni. Che garantiscono allo Stato italiano un incasso decisamente irrisorio. Come ha notato l’Osservatorio Conti Pubblici della Cattolica di Milano, “secondo i dati del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, riportati anche da Legambiente nel “Rapporto Spiagge 2019”, le concessioni demaniali marittime sono circa 52mila e 500, di cui circa 27mila e 300 a uso “turistico ricreativo”. L’insieme delle concessioni a uso turistico e ricreativo producono un gettito annuo di 103 milioni, secondo gli ultimi dati del Ministero riferiti al 2016”.
Dopo aver censurato l’Italia sul tema nel 2016, ai tempi del governo Renzi, e aver raccolto 51 lettere di messa in mora, 28 pareri motivati e 7 rinvii in totale la Commissione ha aperto un fronte che potrà ripercuotersi qualora l’Italia chiedesse una quota dei fondi europei per politiche volte a rilanciare il turismo, trovandosi di fronte al fuoco di fila dei Paesi nordici come l’Olanda che potrebbero giustificare con lo stato di irregolarità amministrativa dell’Italia per applicare contro Roma i poteri del “freno d’emergenza”.
Venerdì scorso, nota La Stampa, “è arrivata un’altra stangata: al termine di un’indagine durata un anno, la Commissione ha intimato al governo di adeguare la normativa fiscale per abolire definitivamente le esenzioni sull’imposta per le società di cui beneficiano le autorità portuali“. Analoghe richieste sono pervenute a Paesi Bassi, Belgio e Francia, dunque in questo contesto per il nostro Paese la partita non sarà solitaria, ma vedersi costretti a dover rimuovere tale possibilità in quanto ritenuta paragonabile a un aiuto di Stato rischia di danneggiare fortemente il nostro comparto marittimo. I porti italiani del del Mediterraneo hanno da tempo perso la sfida con quelli del Northern Range atlantico. I primi tre porti per movimentazioni di container nel Vecchio Continente sono oggigiorno quelli di Rotterdam (Olanda), Anversa (Belgio) e Amburgo (Germania), che complessivamente, secondo quanto segnala uno studio di Assoporti, nel 2017 hanno mosso container per più di 35 milioni di teu (un teu equivale a circa 40 metri cubi); indietro, con 2,5 milioni di teu, Genova e Trieste, poco sopra il mezzo milione. Dati che la pandemia rischia di portare, in questo 2020, ancora più giù.

Roma si vedrebbe costretta, in caso di procedura d’infrazione giunta alla conclusione, a tassere come ogni altra società le attività dei porti a partire dall’1 gennaio 2022. Dal momento che l’esenzione fiscale per i porti esisteva prima dell’entrata in vigore del Trattato nel 1958, la misura e’ considerata un “aiuto esistente” prima degli accordi europei e non imporrebbe alcun recupero del credito d’imposta che una condanna dell’Italia imporrebbe. Ma il contenzioso aperto sul tema, secondo fonti europee raccolte dal quotidiano torinese, imporrebbero alla Commissione di rifiutare qualsiasi progetto italiano per il rilancio dei porti nel quadro del Recovery Fund per una contraddizione ritenuta ancora più forte di quella sulle concessioni.
E se nel primo caso si può dire che il regime concessionario sia imperfetto e tuteli interessi consolidati di parte, nel secondo non si può non sottolineare come approvare i desiderata Ue manderebbe definiviamente a picco le prospettive italiane di giocare un ruolo da protagonisti nel commercio di domani nel Mediterraneo.
Quel che è interessante sottolineare è l’accanimento politico con cui, da diverse settimane, l’esecutivo giallorosso, che faceva vanto del suo europeismo incondizionato, stia venendo trattato nei contesti continentali. Dal richiamo sulla manovra alle critiche sulle misure di quarantena per i viaggiatori, passando per le irritazioni sul Recovery Fund e le nuove procedure di infrazione, un clima di crescente irritazione verso l’esecutivo di Giuseppe Conte a trazione M5S-Pd serpeggia a Bruxelles. Se c’era bisogno di dimostrarlo, questo conferma come sia la debolezza politica dell’Italia in Europa il problema sistemico del Paese da cui deriva un trattamento di secondo piano, e come l’alternanza di esecutivi in fin dei conti pesi ben poco nel cambiare questa situazione. E anzi forse il Conte gialloverde era riuscito a spuntare, con un’abile mediazione sulla manovra, maggiori concessioni di quello giallorosso. Che anche laddove ha cantato vittoria, come sul Recovery Fund, si è avviato su un percorso a ostacoli incerto e persiste in un’apatia politica che danneggia l’intero Paese. Dimenticando che l’Europa è un campo di battaglia in cui bisogna giocare con furbizia.

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