domenica 22 Dicembre 2024

Questione Turchia – Occidente

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Ma al di là dei dettagli, Washington conta su Ankara eccome!

Nello stesso giorno in cui l’Unione europea annunciava alla stampa il suo Documento sul Regime globale di sanzioni sui diritti umani, ispirato al Magnitsky Act degli Stati Uniti, il presidente francese Emmanuel Macron chiariva in una conferenza stampa con il suo omologo egiziano Sisi, ospite all’Eliseo, che non avrebbe condizionato la vendita delle armi all’Egitto al rispetto dei diritti umani in quello stesso paese. Si tratta della stessa Francia che assieme a Grecia e Cipro ha chiesto con forza, nel vertice del Consiglio europeo del 10 e 11 dicembre, l’applicazione di dure sanzioni contro Ankara, come l’embargo sulle armi e la sospensione degli accordi di Unione doganale. Questo contradditorio comportamento è un chiaro esempio dell’adozione di un doppio standard che alcuni paesi europei applicano da tempo nei confronti della Turchia, ledendo l’autorevolezza dell’Unione europea in materia di difesa dei diritti umani.
Nel Consiglio europeo a Bruxelles, i leader hanno deciso di imporre sanzioni a privati e aziende turche legati alle loro attività di ricerca idrocarburi nelle aree contese con Grecia e Cipro del Mar Mediterraneo orientale nell’ambito di un quadro normativo del 2019 grazie al quale l’Unione europea può imporre sanzioni a persone, aziende o a organizzazioni legate a tali attività.
Già nel febbraio del 2020 Bruxelles aveva disposto sanzioni come divieti di viaggio e congelamento dei beni per due funzionari turchi: il vicepresidente e il vicedirettore della Turkish Petroleum Corporation. La disunione all’interno del blocco dei 27 paesi Ue ha portato ad adottare sanzioni “cosmetiche” che, come è facile immaginare, non produrranno alcun cambiamento nell’operato di Ankara nel Mediterraneo orientale dal momento che non viene affrontata l’annosa disputa sui confini marittimi in quelle acque calde del mar del Levante.
Oltretutto tali sanzioni seppur lievi non faranno altro che fornire a Erdoğan un pretesto per alimentare l’antieuropeismo e rinfocolare il sentimento nazionalistico che gli permette di unire l’opinione pubblica del suo paese attorno alla sua persona ed ergersi a unico difensore della Nazione minacciata da potenze straniere ritenute ostili, nella speranza di recuperare in questo modo il consenso perduto nelle elezioni locali del 2019.
Il presidente turco è alle prese con la grave crisi economica che attraversa il suo paese e con le sempre più evidenti turbolenze all’interno della sua alleanza di governo e del suo stesso partito ed è dunque costretto a porre riparo alle relazioni con l’Occidente in particolare con gli Stati Uniti e con l’Unione europea, ma sembra che la capacità diplomatica di Ankara si sia sempre più erosa tanto che la riparazione dei legami potrebbe rivelarsi una impresa ardua anche perché Mosca, con ogni probabilità, in risposta agli sforzi turchi di riavvicinamento a Washington, aumenterà la pressione sull’amministrazione di Ankara in tutti i teatri in cui i due partner cooperano, come in Siria, in Libia, nel Mar Nero, nel conflitto del Karabakh e sui dossier energetici.
Ecco perché in vista del vertice del Consiglio europeo il leader turco aveva cercato scampo in Europa inviando il suo consigliere più apprezzato in Occidente, İbrahim Kalın, per scongiurare possibili dure sanzioni che sarebbero state devastanti per l’economia del paese già in profonda crisi.
Kalın aveva messo in guardia i funzionari UE dicendo a chiare lettere che se Erdoğan non dovesse più essere al potere prenderebbero il sopravvento le correnti eurasiste antioccidentali e antieuropee, pro Cina e pro Russia, e in Turchia si aprirebbe una prateria per l’estrema destra ultranazionalista, xenofoba, panturchista e islamista. Disegnando uno scenario terribile per l’Europa e per la NATO che vedrebbero al loro fianco sudorientale crearsi un’area destabilizzata e destabilizzante nelle mani di leader antioccidentali in preda a furore ideologico. Kalın aveva esortato i funzionari di Bruxelles a non lasciarsi influenzare dai tentativi di alcuni Stati membri che intendevano punire Ankara per le attività di prospezione di ricerca idrocarburi nei fondali marini contesi con Grecia e Cipro.
Erdoğan aveva lanciato un avvertimento ai leader dell’UE, definendo una eventuale scelta sanzionatoria come “cecità strategica” della lobby greca e greco-cipriota, che aveva chiesto un embargo sulle armi e severe sanzioni finanziarie per la Turchia e altre misure punitive, mentre la soluzione dell’annosa disputa sui confini marittimi sarebbe rimasta irrisolta. “La Turchia non accetterà piani e mappe che mirano a confinare il paese alle sue coste di Antalya”, aveva ribadito il presidente turco in un videomessaggio preregistrato rivolto a Bruxelles.

Il precedente vertice del Consiglio europeo dell’ottobre del 2019 aveva fissato una agenda positiva per la Turchia e cioè una serie di impegni su dossier che ad Ankara stanno molto a cuore come quello dell’implementazione degli Accordi di unione doganale, di un nuovo accordo sui migranti che prevederebbe un maggiore stanziamento finanziario, la liberalizzazione dei visti e l’apertura di un canale di dialogo sul Mediterranneo. Dopo il vertice di ottobre, Ankara invece ha continuato nella sua attività di ricerca di idrocarburi in quelle zone che Atene e Nicosia considerano una piattaforma marina di loro pertinenza e aveva inviato di nuovo la sua nave da ricerca Oruç Reis a largo dell’isola greca di Kastellorizo e la nave Yavuz a largo di Cipro ritenendo di difendere in questo modo i diritti di sovranità e di estrazione del gas del proprio paese e di quelli dei turco-ciprioti. Ma poi, in mossa strategica, in vista del nuovo vertice di Bruxelles, ha ritirato la Oruç Reis nel porto di Antalya per mostrare disponibilità al dialogo. Una mossa questa considerata dai leader europei “poco convincente” che avevano dunque confermato la loro intenzione di sanzionare la Turchia.
Recentemente erano emersi altri punti di discordia tra Ankara e alcuni Stati membri dell’UE. Il mese scorso Erdoğan e la sua controparte francese, Emmanuel Macron, si erano scambiati insulti sui diritti dei cittadini musulmani in Europa. Inoltre il leader turco aveva sostenuto una soluzione a due stati per Cipro durante una sua recente visita a Nicosia, precludendo ogni possibilità di una eventuale ripresa dei negoziati per la riunificazione dell’isola, bloccati dal 2017. I tentativi dell’UE di imporre sanzioni severe ad Ankara si sono sempre rivelati difficili, poiché richiedono un voto unanime. Sanzioni dure alla Turchia sarebbero state controproducenti anche per paesi europei come la Germania che è al primo posto in Europa negli scambi commerciali con Ankara e che ha una comunità di origine turca di oltre 2 milioni e mezzo di abitanti; inoltre Berlino vuole tenere in vita l’accordo sui migranti. La Germania vorrebbe mantenere la Turchia il più vicino possibile all’UE, così come Italia, Malta e Spagna, mentre altri paesi membri europei e della NATO, come Francia e Grecia, assieme alla Repubblica di Cipro, vogliono tenere lontana Ankara. Ma se l’UE manterrà una posizione ambigua e di doppiopesismo sulle questioni del rispetto dello stato di diritto e dei diritti umani e dimostrerà di non avere una visione strategica a lungo termine nelle relazioni con Ankara, sarà sempre più difficile che le due parti si possano parlare in modo più maturo su diversi dossier ancora aperti come quello dell’implementazione degli accordi di unione doganale che è il pilastro principale del quadro di collaborazione tra Turchia e UE e che è di fatto un meccanismo basato su regole che costringerebbero Ankara a rendere più trasparente l’amministrazione statale e il sistema degli appalti pubblici. Dopotutto la trasparenza e la responsabilità riguardanti il modo in cui vengono spesi i soldi dei contribuenti sono al centro della governance di qualsiasi paese democratico fondato sullo Stato di diritto.
Riavviare i colloqui di ammodernamento dell’unione doganale non è un regalo per i governanti turchi e non iniziare tali colloqui sarebbe percepito come una punizione non certamente solo per il governo, ma anche per l’intera società turca, specialmente per quell’ampia parte della popolazione che è a favore di legami più forti con l’Europa. La liberalizzazione dei visti d’ingresso per i cittadini turchi nell’area Schengen prevede la riforma della famigerata legge antiterrorismo e ritardare ulteriormente tale misura, di cui già godono diversi paesi non candidati, viene percepito dalla popolazione turca come una discriminazione. Inoltre isolare la Turchia e allontanarla dall’Occidente potrebbe creare delle lacune molto gravi all’interno dell’architettura di sicurezza occidentale.

Il rapporto NATO per il 2030 cita la Russia come la principale minaccia per l’alleanza nel prossimo decennio e raccomanda che i paesi della NATO adottino adeguate strategie per contrastarla. Non sarà una sorpresa vedere Washington adottare una posizione più netta contro la Russia sotto la nuova amministrazione Biden, che tenterà di attivare l’unità transatlantica a tal fine. Quindi sorge una domanda molto importante: quale beneficio otterrà l’Occidente con questo approccio sanzionatorio meramente di facciata verso un paese come la Turchia, che ha difeso il fianco meridionale dell’alleanza contro i sovietici durante la Guerra Fredda e che sta contrastando la Russia in vari teatri di conflitto come in Siria e in Libia? Spesso si dimentica che è stata la Turchia a fermare un assalto dell’esercito siriano, fortemente sostenuto dalla Russia, nella provincia di Idlib, contribuendo all’avvio di un processo di transizione politica. È stata ancora una volta la Turchia a proteggere il Governo di accordo nazionale (GNA) riconosciuto a livello ONU nella difesa di Tripoli dall’assedio delle truppe del generale Khalifa Haftar, sostenuto da Russia, Francia e alcuni paesi del Golfo. Il leader del GNA, Sarraj, che noi europei riconosciamo come unico legittimo governante libico, aveva invano chiesto un aiuto militare anche all’Italia e alla Germania nella difesa di Tripoli. L’aiuto è invece arrivato da Ankara. E ora se il processo di pace interlibico è diventato possibile ciò è grazie all’intervento turco, come riconoscono diversi funzionari dell’amministrazione di Washington e di Bruxelles.
Il sostegno della Turchia all’Ucraina e la sua ferma denuncia dell’annessione russa della Crimea sono anch’essi esempi del ruolo costruttivo che la Turchia può giocare nella regione in sintonia con l’Occidente. Oltretutto è ben noto che le relazioni della Turchia con la Russia sono molto pragmatiche e dànno priorità alla stabilità e alla sicurezza regionale. Ankara ha chiarito infatti che la sua cooperazione con Mosca non è un’alternativa ai suoi legami con l’Occidente, in particolare con la NATO.
Senza dubbio gli ultimi due anni hanno generato domande in Occidente sulle reali intenzioni della Turchia in politica estera. Ma bisogna tener presente che l’evidente incapacità degli Stati Uniti e dell’Unione europea di impegnarsi in quelle aree di conflitto ha aperto la strada alla penetrazione russa. E sorgono diverse domande che non trovano una convincente risposta. Perché la Turchia è stata abbandonata per tutto questo tempo? Perché i paesi europei hanno ritirato il sistema di difesa aerea Patriot dal paese proprio nel momento in cui Ankara ne aveva più bisogno per il riaccendersi dei conflitti in Medio Oriente? Perché gli Stati Uniti non hanno venduto i Patriots alla Turchia, spingendola ad acquistare gli S-400 dalla Russia? Oggi vi è un problema tra Turchia e Occidente e questo problema va risolto non va messo da parte.

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