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Progressi del teletrasporto quantistico

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wired.it

L’informatica quantistica ha un enorme potenziale, ma deve fare i conti con un problema di scalabilità. Affinché un computer di questo tipo abbia un’utilità nel mondo reale, è necessario assemblare più processori quantistici in un unico luogo, aumentandone così la potenza ma anche le dimensioni (e rendendoli meno pratici e più delicati). Per ovviare a questo inconveniente, gli scienziati stanno lavorando a una soluzione che sembra uscita direttamente da una serie di fantascienza: collegare core remoti tra loro attraverso il “teletrasporto quantistico” per creare sistemi ancora più potenti.

Il nuovo esperimento di teletrasporto quantistico
Recentemente, un team di scienziati dell’Università di Oxford è riuscito a inviare il primo algoritmo quantistico in modalità wireless tra due processori quantistici separati. Sfruttando la loro natura unica, i due piccoli core hanno unito le loro capacità formando un computer ancora più avanzato, in grado di risolvere problemi che nessuno dei due avrebbe potuto completare autonomamente.
Il team guidato dallo specializzando Dougal Main è riuscito a far interagire sistemi distanti tra loro e a condividere porte logiche utilizzando l’entanglement quantistico, come viene definito il fenomeno per il quale una coppia di particelle collegate, anche a distanza, è in grado di condividere lo stesso stato e quindi trasmettere le stesse informazioni.
Gli scienziati di Oxford hanno utilizzato l’entanglement quantistico per inviare quasi istantaneamente informazioni di base tra i due computer. Quando i dati viaggiano su lunghe distanze secondo questo principio si parla appunto di teletrasporto quantistico (che però non va confuso con l’idea convenzionale di teletrasporto, che prevede un ipotetico scambio immediato di materia nello spazio). Nell’esperimento del team di Oxford, anche se le particelle di luce sono rimaste al loro posto, l’entanglement ha permesso ai due computer di “vedere” l’uno le informazioni dell’altro e lavorare in parallelo.

Verso il futuro del quantum computing
La ricerca pubblicata dal team su Nature spiega che il teletrasporto quantistico di un algoritmo è stato realizzato con fotoni e moduli posti a due metri di distanza. La fedeltà delle informazioni trasmesse ha raggiunto un tasso dell’86%. Il risultato di questa architettura di informatica quantistica distribuita è sufficientemente positivo da permettere di immaginare una strada percorribile verso un utilizzo della tecnologia su larga scala e l’internet quantistico.
In passato ci sono già state dimostrazioni di teletrasporto quantistico in contesti computazionali, che però si sono limitate al trasferimento di stati tra sistemi. La sperimentazione dell’Università di Oxford si distingue dalle altre in quanto ha utilizzato il teletrasporto per creare interazioni tra core distanti. “Questa scoperta ci permette di ‘collegare’ efficacemente diversi processori quantistici in un unico computer quantistico totalmente connesso”, ha dichiarato Main.

Se la tecnologia continuerà a svilupparsi, l’era dei computer quantistici giganti potrebbe essere alle nostre spalle e il problema della scalabilità potrebbe essere risolto grazie a più macchine che operano insieme attraverso il teletrasporto quantistico. Per ora un processore di base può gestire 50 qubit, come vengono chiamate le unità di informazione quantistica: alcuni scienziati stimano che per risolvere problemi complessi sarà necessario un sistema in grado di elaborarne migliaia o addirittura milioni.
Anche senza entanglement, i computer quantistici sono già abbastanza potenti da risolvere problemi apparentemente impossibili. Per fare un esempio, Willow, il chip quantistico di Google, ha completato un particolare compito (chiamato random circuit sampling) in cinque minuti; per fare lo stesso, un supercomputer tradizionale avrebbe impiegato fino a 10 quadrilioni di anni.

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