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Renzi a casa?

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Che possibilità 

Salvo cataclismi o cause esogene, prepariamoci ad un decennio renziano e a un buon ventennio gesuita. Il tutto in una forbice mondiale asiatico-americana e nella proletarizzazione e terzomondizzazione europea.

Non è catastrofismo o pessimismo cosmico, si tratta semplicemente di soppesare quel che di reale c’è in campo. Illudersi non aiuta nessuno, porta solo fuori strada: stilare una diagnosi impietosa invece può servire ad approntare la giusta terapia.

 

Dominio gesuita

Iniziamo da Renzi e dalla sua copertura. Gesuita è il Papa, della cerchia gesuita sono il Presidente della Repubblica e il presidente della Bce.

Il partito gesuita ha passato accordi con tutti i poteri forti, ha il suo paracadute,  le sue sponde e le sue complicità mondialiste. E’ sulla base di questa posizione inattaccabile che Renzi si sta permettendo di compiere la sua rivoluzione dall’alto, la  trasformazione con cui  ha potuto intaccare privilegi di sindacalisti e giudici. Anche all’estero questo partito – di cui Renzi non è che l’anchorman – ha più peso dei precedenti. In ogni caso, contrariamente a quanto si dica frettolosamente, non è la stessa cosa di Monti. Fermo restando che, fatta salva la messa in riga dei vecchi soviet di toga e sindacato che in Italia sono stati sempre un problema, le riforme renziane sostanzialmente non mi piacciono, tre dati vanno tenuti a mente. In politica interna questo partito ultraimmigratorio e fan dello Ius Soli, è deleterio, in politica estera, forse perché incline ai compromessi ecclesiastici, ha il pregio, rispetto al precedente, di una maggior neutralità ed assertività. Infine, viste le coperture e le amicizie, non sarà particolare oggetto di pressioni piratesche di rating.

Questo per dire che chi liquida Renzi come una meteora demagogica e incapace si sbaglia di grosso.

L’ex sindaco di Firenze sta in sella, ci sta saldamente e non lo si batte nelle urne o men che meno nelle sfide tra leaders. Solo un’operazione lunga, metodica, articolata e strategica può rimettere le cose in gioco.

 

Uno scontro impari

Per sconfiggere Renzi – o meglio il partito gesuita – non bastano né la piazza né le urne. Coloro i quali sperano che una ricomposizione del populismo di destra, facendo leva sulla pancia della gente, potrà avere la meglio sul regime attuale, sognano. Sempre che non ci siano particolari scossoni internazionali, un rovesciamento della maggioranza non si verificherà perché i luoghi chiave da cui i voti si determinano, si manipolano o si disperdono, sono tutti nelle stesse mani: a pallone si può anche vincere ma non quando si gioca contro la squadra degli arbitri, degli sponsores e dei managers degli stessi calciatori.

Peraltro per vincere si deve saper saldare la politica di pancia, fatta di slogan demagogici e massimalisti, con quella pacata perché non tutta la gente incazzata è scema così come non tutta la gente che riflette è arresa. Una sintesi arguta e capace tra hardware e software porta a maggioranza. Accadde anche in Italia con Mussolini. Nel dopoguerra tutte le svolte radicali sono state fatte da persone che erano molto oculate e gradualiste. Salvini sembra iniziare a rendersene conto visto che l’altra sera a Ballarò, pur difendendo ancora il suo orientamento anti-Euro si è mostrato possibilista e aperto al dialogo. Vincere non vincerà, ma se vuole affermarsi per bene e con ampio consenso ha due mosse essenziali da fare: correre da solo, senza alleanze con il  carrozzone della destra, e riuscire a esprimere una miscela ben riuscita tra populismo e moderazione nella radicalità.

 

Una soluzione reale

Non credo proprio che Salvini diverrà premier né che ci saranno sconvolgimenti se non di superficie in quest’italietta gesuita, ma questo non è un dramma. Lo può essere solo per coloro che ancora sono prigionieri del pregiudizio democratico e che all’età che hanno sono riusciti nella doppia impresa di non credere più in Babbo Natale ma di credere ancora nelle elezioni.

Se, una volta nella vita, si acquisissero le categorie del realismo, anche in politica, abbandonando l’accattonaggio (che tali sono sia il carrierismo che l’attesa della manna salvifica), l’occasione sarebbe ghiotta. La polarizzazione che si verrà a creare e che, per ora, nell’immaginario collettivo è Renzi-Salvini, di per sé è un toccasana per il renzismo, ma se lo si interpreta, attivamente, in altro modo, le cose cambiano. In che modo? Mi ripeterò in eterno: creando contropotere, organizzando le categorie sociali, l’autofinanziamento del credito per gli imprenditori, una vera e propria economia alternativa e parallela. Non importa chi sia eletto – il deputato è sostanzialmente un inutile coglione – importa a chi risponde, a chi fa capo, a chi rende conto.

Contropotere quindi, con un’attenzione particolare al fenomeno Salvini e alla sua dinamica.

Ma attenzione non significa, non può significare, non deve significare, appiattimento.

L’idea per la quale il sociale debba essere sottomesso a rappresentazione politica e quindi spezzettarsi in segmenti settari e clientelari va superata.

Una volta determinate due o al massimo tre idee-forza comuni, un soggetto di avanguardia deve al tempo stesso perseguirle nella trasversalità e differenziarsi aggiungendovi le proprie che lo qualificano. Così mentre un’alleanza salda è da immaginarsi con Salvini sullo Ius Soli, un’altra, quella sul potere locale e perfino sulla finanza locale, è fattibile con categorie sociali e, politicamente, con Cinque Stelle, con segmenti di destra e di sinistra, in particolare con liste civiche. Alleanze a tutto campo significa anche che in certi casi ci sia conflittualità, che è un toccasana. Così mentre Salvini avrà qualche chance in più se andrà da solo, gli altri soggetti partitici, in particolare Fratelli d’Italia, potranno fare molto localmente dove le basi hanno radicamento militante serio (a naso penso a Sardegna, Toscana, Campania e un po’ alla Lombardia).

Si tratta di ragionare universalmente, a sistema, e di agire localizzando.

Servono focolai d’infezione da cui diffondere il virus della trasversalità, dell’autonomia, della partecipazione diretta. Un polo del popolo che non sia un contenitore unico ma un trasformatore dal quale la sintesi delle componenti esprima peronismo.

 

Nessuno lo farà al posto tuo

Conosco le obiezioni. La gente vuole troppo spesso la pappa pronta, la strada breve e non  dover mettere in funzione il cervello e la volontà. Quindi ogni proposta articolata viene liquidata come utopistica quando non lo è, per ribatterla ci si aggrappa al realismo dell’immediato che, invece, è utopia se non proprio fuffa.

Presi dalla commedia della politica parlamentare, i più si limitano a liquidare il tutto in una fiction da televoto e non si rendono conto di quanto accade ogni giorno nel mondo. Un’esplosione demografica senza pari, una rivoluzione imperialistica americana, una potenza invasiva dell’Asia, un nostro crollo demografico, una serie di conflitti (de)stabilizzanti, tutto questo ha luogo mentre c’è impoverimento delle classi medie, solo l’1% della popolazione detiene il 99% della ricchezza mondiale, la metà della quale è oggi concentrata nelle mani di ottanta persone, quando solo cinque anni fa il numero era quintuplo. 

Qualcuno pensa che la questione sia risolvibile sostituendo – quand’anche ciò fosse possibile – il Renzi di turno con il Salvini del momento? Se lo pensa buon per lui e soprattutto per chi ha qualcosa da vendergli. Le rivoluzioni anche solo parziali non hanno la gambe corte: quelle ce le ha soltanto la reazione demagogica. Se non si è prima fatto sistema, non solo nella teoria che deve essere realistica, ma nella realizzazione di piattaforme sociali, di contropotere e di economie alternative, anche nel caso di una vittoria populista, da parte di chicchessia, si farebbe la figura di Tsipras: per non trattare con la trojka la chiama diversamente! Ciò detto le s’inchina. Che si esca dall’Euro, che ci si resti dentro o che, come ritengo io, ci si rimanga ma con una soluzione mista, non si ottiene assolutamente nulla se non si è prima fatto sistema, cioè rivoluzione silenziosa, strutturale, solida.

Torniamo alle differenze che da tempo sto indicando tra Alba Dorata, che lo fa, e il Front National che non lo fa: il 7% dei greci è molto più potente, solido e ha molte più potenzialità di successo effettivo di quanto lo fornisca  il bottino quadruplo dei francesi, perché Alba Dorata sa da dove partire, dove arroccarsi, cosa fare e perfino come proporre un programma di governo. In Francia s’insegue in modo mediaticamente perfetto la pancia popolare ma se disgraziatamente avessero l’occasione di Tsipras dovrebbero anch’essi improvvisare e non oso pensare ai risultati. 

Di ben altro si tratta oggi. A meno di voler a tutti costi credere nella fiction e fare i tifosi di una politica che ormai ha la stessa credibilità, le stesse modalità e la stessa autenticità del calcio, si deve andare a sistema e a costruzione reale, pratica, quotidiana dell’alternativa. Le elezioni e le campagne elettorali possono avere un valore strumentale e comunque di superficie, di chiusura di un lavoro serio, costante, continuo, pregresso.

 

Non ci pensate nemmeno!

Preciso per tutti coloro che leggono in fretta, con un’idea preconcetta, con il paraocchi o con una certa malizia, che questa non è una critica disfattista nei confronti di nessuno, non è una presa di distanza da Lega, da Sovranità o da chi altri si voglia e non è neppure soltanto una critica positiva bensì la proposta di cambiare velocità, allargare le prospettive e non subordinare la prassi rivoluzionante alle leggi del marketing fiction. Si può. Aggiungerei che si deve ma l’importante è capire che sia possibile e accettare coraggiosamente il fatto che non ci sono alternative virili, fasciste e indoeuropee a questa possibilità.  

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