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Retroguardia operaia

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L’Ilva è emblematica di come la rassegnazione abbia preso il posto della terza via

La tragica situazione dell’Ilva di Taranto è ormai da mesi sotto i riflettori.
Mentre le ultime notizie ci informano dell’avvio di indagini da parte della Procura di Milano su presunti illeciti della ArcelorMittal, che agisce privatamente per i suoi interessi e probabilmente tenta di far fuori un possibile concorrente utilizzando il Cavallo di Troia servitogli su un piatto d’argento dal Governo Italiano stesso, sta per iniziare il pellegrinaggio a corte dei sedicenti Sindacati nostrani, che tremanti agitati e impotenti saliranno al Colle nelle prossime ore per esibirsi nell’ennesima narcisistica sfilata e ricevere la solita inutile pacca sulle spalle e la solita vuota e mediatica solidarietà da parte del Presidente della Repubblica.
Ad osservare la pantomima, sullo sfondo e maliziosamente in disparte, ci sarà anche il Ministero dello Sviluppo Economico, sui cui improbabili titolari, presenti e passati, pesa il fardello di buona parte dell’intera vicenda.
Ed ecco al pubblico svelate le identità dei mediocri suonatori che, come violinisti del Titanic, continuano a strimpellate le loro terribili note stonate sulla pelle di migliaia di lavoratori italiani, mentre il più grande polo siderurgico nazionale – importante anche a livello europeo – cola a picco: Stato, Governo e Sindacati.
Direttore d’orchestra, sua maestà il Capitale.
In tutto questo dramma, insomma, partecipa connivente il peggio che sa offrirci – parafrasando il Vate – “il grigio diluvio democratico odierno, che molte belle cose e rare sommerge miseramente”.
Di Piacere ad oggi ce n’è rimasto ben poco – ed è probabilmente illegale o politicamente scorretto – e tra le tante “cose che vanno poco a poco scomparendo” c’è anche “quella special classe di nobiltà italica” che una volta prendeva il nome di Popolo, di cui una delle più importanti componenti è il Lavoratore , intendendo con tale sineddoche quell’intero corpo produttivo che, nella secolare storia d’Italia, pur non essendo mai stato avanguardia, ha sempre avuto grande coscienza di sé e dignità.
Oggi non è più cosi.
Ed è anche un pò colpa sua.
E nostra.
Decenni di lavaggio del cervello, di propaganda sovversiva, di sogni americani inesistenti e rivelatisi incubi, di mediocre benessere, di pance piene, di consumo e di miraggi piccolo borghesi, hanno ridotto “der arbeiter” ad essere un mero ingranaggio passivo della Grande Opera Democratica.
Il lavoratore italico – come l’intero Popolo – si è così ammalato di due gravissime malattie: l’”asservimento in-volontario” e il “piagnucolio assistenzialista”.
Non riconoscendosi nei concetti di reponsabilità e di auctoritas, ha deciso di contrapporre l’inganno della “liberazione” alla libertà virile, scegliendo di servire e servirsi di un sistema malato, iniquo e gangsteristico.
Scordatevi dunque aneliti vitali seppur effimeri come scioperi e assemblee, agitazioni e proteste violente. Siamo nel 2019, son cose superate, soprattutto in Italia!
Il lavoratore oggi non si incazza davvero, fa solo un pò di baccano e chiede l’intervento miracoloso dello Stato, del Ministero, dei Sindacati.
D’altronde è il contribuente per eccellenza (se non è a nero, la trattenuta è direttamente in busta paga), e vanta i suoi crediti!
Insomma piagnucola e chiede aiuto agli scagnozzi del suo aguzzino. Un comportamento patologico.
Il lavoratore moderno non chiede di guadagnare quote di partecipazione, fa l’elemosina.
E aspetta che il suo carnefice gli offra di scaricare sulla collettività i fallimenti del capitale privato.
Ma a lui va bene così, perché si inganna di non avere alternative. È intorpidito e paralizzato dalla paura di perdere un privilegio, perché concepisce il lavoro come una concessione.
Egli non ricorda più che esiste una terza via, che capitalismo e socialismo reale possono essere travolti dalla forza dell’Idea.
Dovrebbe rammentare che esiste un modo altro di concepire i rapporti tra gli uomini, tra il capitale e il lavoro.
Che si può essere egalitari e giusti nelle opportunità, ma rimanendo all’interno di un’organizzazione gerarchica.
Che dovremmo essere una Comunità di Destino, nella quale ognuno ha il suo compito, il suo valore e le sue responsabilità.
Che si può aggredire il capitalismo con disinvoltura innovativa ma al tempo stesso rimanendo ben saldi e ancorati alla Tradizione.
Che l’alternativa più rivoluzionaria è quella corporativa e partecipativa del capitale e della produzione in una logica anticapitalistica.
Forse è il caso che qualcuno glielo ricordi. E se lo ha dimenticato, forse è anche per colpa della nostra assenza.

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