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Rigurgiti neocons

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Dopo il trionfo elettorale sul suo clone, Bush si prepara ai necessari rimpasti di governo. Fuori la “colomba” (?) Powell, dentro Wolfowitz. E poi c’è da premiare il fondamentalismo evangelico che tanto merito ha avuto nella rielezione del petroliere texano. Ne vedremo delle belle.

BOSTON – Nel suo secondo mandato George W. Bush – legittimato da una vittoria netta e dal voto di 60 milioni di americani – cambierà sicuramente qualcosa sia nell’agenda politica che negli uomini incaricati di applicarla ma, al momento, non mostra troppa fretta. Anche nel quartier generale dei vincitori i “guru” elettorali lasciano il campo agli “strateghi” mentre Karl Rove analizza con i suoi uomini risultati e tendenze per offrire al presidente le migliori scelte e le migliori soluzioni per il futuro.

Dal 2 novembre sono uscite due Americhe che non sono quelle ipotizzate da Edwards in una troppo schematica divisione tra ricchi e poveri, ma che sono l’America delle due coste, con le sue università e i giornali liberal, e l’America delle sterminate praterie con i suoi ranch, i fucili, le chiese e i valori familiari. Il voto ha detto, senza ombra di dubbio, che quest’ultima è l’America della maggioranza e Bush ne dovrà tenere conto.

Il primo addio è stato anticipato dalla Cnn e sarà quello del ministro della Giustizia John Ashcroft previsto nel giro di quindici giorni. Per sostituirlo potrebbe essere chiamato il suo vice Larry Thompson, un nero, ma anche a Rudolph Giuliani la poltrona di “Attorney General” non dispiacerebbe. Il sindaco della tolleranza zero a New York, pur essendo un repubblicano moderato si è impegnato più del previsto durante la campagna elettorale e alla Casa Bianca (per la quale “Rudy” vorrebbe provare a correre nel 2008) hanno apprezzato i suoi ripetuti viaggi nella Florida di Jeb Bush.

Annunciato come partente da mesi è il segretario di Stato Colin Powell, anche se ieri il Washington Post metteva in dubbio l’addio dell’ex generale. Nell’America, che si è svegliata il 3 novembre più repubblicana e conservatrice, saranno in molti adesso ad andare a riscuotere il credito maturato in queste elezioni verso la Casa Bianca. Innanzitutto la destra cristiana.

I milioni di evangelici bianchi che si sono recati alle urne rappresentano un’armata che ha i suoi rappresentanti in Congresso e che si sente sottorappresentata. Alla Convention repubblicana di New York, in un momento in cui il partito cercava i voti dei moderati, gli esponenti della destra religiosa sono stati costretti a parlare la mattina davanti a una platea vuota, mentre repubblicani liberal come Schwarzenegger avevano il prime time televisivo.

Non è solo questione di apparenza, lo è soprattutto di sostanza e la prima cosa che gli evangelici pretendono è che Bush mantenga fede alla promessa di emendare la Costituzione vietando per legge i matrimoni tra omosessuali in tutti gli States come già hanno fatto 11 Stati.

Poi ci sono i “neocon”. La presenza di Wolfowitz nella sala della Casa Bianca dove Bush attendeva i risultati con i familiari non è passata inosservata. Per il “falco” dell’amministrazione è pronta la poltrona di Condoleezza Rice – nel caso “Condy” dovesse andare al Dipartimento di Stato – ma non è escluso che possa essere proprio lui il successore di Powell. Il risultato elettorale ha rafforzato i “neocon” per i quali la sicurezza nazionale resta di gran lunga la prima questione.
Resta totalmente in piedi l’idea della democratizzazione dell’intero Medio Oriente con l’uscita di scena di Yasser Arafat che potrebbe aprire in tempi brevi nuove soluzioni al conflitto tra israeliani e palestinesi. Resta da decidere come premere su Iran e Corea del Nord, paesi verso i quali è al momento esclusa ogni operazione di tipo militare ma con cui nei prossimi quattro anni i conti andranno regolati.

E c’è la cosa più urgente, le elezioni in Iraq che si devono tenere a gennaio (primo passo altri 75 miliardi di dollari per finanziare la guerra e la lotta al terrorismo). Quanto ai difficili rapporti con l’Europa nell’am

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