Bush e Berlusconi si sentono suoi eredi. Ed in larga parte lo sono: l’iperliberismo, lo spirito di crociata contro i vari “imperi del male”, la politica-spettacolo, l’occidentalismo più retrivo, il flirt con puritani e fondamentalisti: eccola l’eredità di Reagan che oggi ritorna nei suoi epigoni. Ritratto di un attore di serie B diventato l’uomo più potente del mondo.
Mi è difficile ricordare Reagan senza che riappaia l’immagine sbalordita del ragazzino di «Back to the future» che, catapultato per magia nel passato degli anni `50, a chi gli dice chi è il presidente degli Stati uniti non riesce a credere si tratti davvero di Ronald, l’attore di serie B della sua infanzia. Eppure, fu proprio il fatto di non provenire né dalla casta militare – uscita malconcia dopo la disfatta nel Vietnam – né da quella dei politici di professione – cui si imputava l’inaspettato impoverimento dell’America, alle prese con una recessione perdurante che evocava storie da grande depressione – quel che aveva consentito il successo del 40° presidente degli Stati uniti: egli è stato infatti il precursore dell’ondata «antipartitica» che ha poi via via investito quasi tutto il resto del mondo. Cosa di meglio che ricorrere al vecchio, sempre vivo mito del West, ai suoi generosi, coraggiosi e sempre vincenti cowboys, per curare la sindrome del pessimismo che alla fine degli anni `70 aveva colpito l’orgogliosa società americana? Scrisse Noam Chomsky che il compito che era stato affidato a Reagan «era di sorridere, di leggere dal `gobbo’ con voce piacevole, dire un paio di battute, e di far sentire l’uditorio a suo agio. La sua sola qualifica per gestire la presidenza era che egli sapeva come leggere le righe scritte per lui dai ricchi e potenti. Per otto anni il governo ha virtualmente funzionato senza una effettiva guida dell’esecutivo». Nel lancio dei leader politici (come dei prodotti per il supermarket) le virtù mediatiche contano assai più della sostanza, ma non c’è dubbio che nel caso di Ronald Reagan l’operazione è riuscita ai demiurghi di Wall Street nel migliore dei modi. Perché Reagan è stato un grande presidente, nel senso che ha segnato un’epoca, ha cambiato la struttura delle nostre società, i valori e le idee. Il suo vero genio fu di reintrodurre nella politica l’ideologia, proprio quando i democratici (e la sinistra in Europa) cercavano di liberarsene. E così riuscì a dare la valenza di una missione religiosa, reclutando diavolo (l’«impero del male») e santi (lo «juppie» – young upper professional). Ha buon gioco il piccolo Bush, quando nel commemorarlo dice: «Ci ha liberato dalla tirannide», perché persino ai poveracci che vivevano di welfare è riuscito a far sentire come un’intollerabile intrusione nella loro vita privata l’intervento dello stato. Margaret Tatcher – che il movimento pacifista immortalò in un manifesto fra le sue braccia come Rossella O’Hara-Vivien Leigh in quelle di Rhett Butler-Clark Gable, sotto la scritta «Via col vento» – sebbene sia stata oltreoceano più che la sua partner il suo battistrada, non riuscì mai ad acq