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Sbarack Obama

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Israele indietro fino ai confini del 1967? Difficile credere però che ci creda sul serio

“Per decenni – ha detto Obama – il conflitto arabo-israeliano ha portato la guerra nella regione. Il popolo palestinese non ha ancora uno Stato. Per molti è impossibile un passo avanti, ma io non sono d’accordo. Siamo arrivati ad un momento in cui si stanno demolendo delle barriere ed è ora che avvenga anche per palestinesi ed israeliani. Il popolo israeliano deve avere diritto di esistere. Il nostro impegno per la sicurezza di Israele è inossidabile, ma lo status quo è insostenibile. Sempre più palestinesi vivono nella parte ovest della Cisgiordania e quindi c’è il pericolo del populismo crescente. Il sogno di uno stato ebraico non può essere conseguito con l’occupazione. Non possiamo però imporre la pace: israeliani e palestinesi devono prendersi le proprie responsabilità. Una pace duratura è sinonimo di due Stati separati. Bisogna quindi negoziare sulle questioni chiave. Serve una Palestina aperta e un Israele sicuro. La linea di confine deve essere quella del 1967”
Dunque gli Usa scaricano Israele? E le sue oltre duecento testate nucleari?
Insomma gli Usa ritornano al progetto di Bush sr che voleva smettere di finanziare Tel Aviv e che per questo perse la Casa Bianca?
Sarebbe una svolta importante e, in linea di principio, tutt’altro che impossibile visti i mutamenti mondiali. Sarebbe una svolta possibile ma sinceramente non sono convintissimo che Obama intenda compierla sul serio.
L’impressione è che Obama parli piuttosto alle nuove “democrazie facebookiste” per proporre loro “cooperazione”, ovvero influenze e investimenti in modo massiccio e che perciò intenda presentarsi come sinceramente volto all’equità, immagine  appropriata ad una superpotenza che si avvia ad assumere il ruolo elegante di “vicario dell’Onu” nel concerto delle nuove spartizioni globali che sta dirigendo. E’, questa, una risposta sensata ai tagli degli armamenti e alla congiuntura di ristrettezze in campo militare che si protrarrà nei prossimi anni dettando maggior concentrazione e maggiori risparmi nelle operazioni in divisa.
Alla luce di ciò anche una “pacificazione” israelo-palestinese diventerebbe attuale.
Ma la realtà regionale sembra svilupparsi molto diversamente dai proponimenti ufficiali di Obama.
Gli Usa infatti stanno incendiando l’area contando su di una serie di leve autoctone, non esclusi i Fratelli Musulmani che corteggiano unitamente a Londra. Nell’area operano anche i salafiti, addestrati in Kosovo e manovrati da Tel Aviv. Un intrico magmatico ed esplosivo che non mancherà di creare sconvolgimenti di superficie.
Le mire americane di destabilizzazione dell’area puntano alla Siria e a riportare la Turchia nella linea a loro cara che è stata abbandonata da Erdogan.
In quei luoghi si svolgono molte partite di prima importanza, tra cui va messo in eviednza l’esito dello scontro strategico tra Nabucco e South Stream.
Gli Usa che si apprestano a sguarnire l’Afghanistan, sembrano quindi volersi invece coinvolgere maggiormente intorno al Mediterraneo laddove potrebbero anche trasferire truppe chiamate al “peace keeping”.
Per farlo con una certa effcacia devono però inizialmente mostrare agli arabi buone intenzioni ed “equidistanza”.
Ma intanto agli israeliani stanno offrendo già da ora il pretesto per rifiutare la proposta di Obama.
Questa è stata preceduta dalla provvidenziale identificazione operata dalla Cia del nuovo Fantomas della Spectre (Al Qaeda) in un ologramma egiziano, tal Muhamad Ibrahim Makkawi.
Ecco che il focolare del terrorismo jihadista inizia ad essere identificato, per la pubblica opinione passiva e distratta, in prossimità dello stato ebraico.
Questo probabilmente allo stesso tempo consentirà agli Usa di spiegare la necessità d’interventi  in Siria e fornirà l’alibi a Tel Aviv per non rispettare la proposta americana che, molto probabilmente, si limiterà a restare teorica ma sufficiente per mutare l’immagine statunitense nell’area senza che lì i rapporti cambino davvero.
Un bluff di marketing? Probabilmente.

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