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Il gioco del petrolio

Il petrolio è la fonte di energia più importante, il mercato in grado di determinare assetti economici e politici di intere macro aree. La corsa all’oro nero è iniziata già alla fine del XIX secolo, all’indomani della prima rivoluzione industriale. Il mondo ha iniziato ad avere sempre più bisogno di greggio, nel giro di poco tempo divenuto bene essenziale e capace di sostituire il carbone. Ma è soprattutto dal secondo dopoguerra in poi che l’estrazione del petrolio ha significato, per i Paesi esportatori, la possibilità di affacciarsi prepotentemente nel panorama politico internazionale.

I Paesi dell’Opec
Da diversi decenni ormai, nell’immaginario collettivo la produzione di petrolio è legata a quella dei Paesi mediorientali. Ed in particolare a quelli della regione del Golfo Persico. Del resto, è proprio qui che si concentra la maggior parte delle riserve mondiali, ma è anche qui che è stato coniato il termine “petromonarchie”, con riferimento ai tanti Stati di questa zona del pianeta le cui famiglie reali hanno trasformato la vita di questi territori grazie agli ingenti proventi del petrolio. A partire dalla famiglia Saud, la quale governa su un’Arabia Saudita che è da anni oramai la maggiore esportatrice di oro nero. Il Paese da solo ha circa il 18% del totale delle riserve mondiali, i suoi 10.460.710 di barili estratti al giorno la pongono al terzo posto dopo Usa e Russia per la produzione di petrolio ma, considerando la vastità dei territori delle due potenze sopra menzionate, la quantità relativa all’Arabia Saudita assume proporzioni ragguardevoli. Anche le altre monarchie confinanti sono note per lo sviluppo legato all’esportazione dell’oro nero.
Come gli Emirati Arabi Uniti, i quali grazie al petrolio sono diventati punti di riferimento economici della regione. Qatar, Barhein, Kuwait ed Oman hanno anche loro iniziato già dagli anni ’70 a sfruttare intensamente le proprie ampie riserve petrolifere. Poco più a nord, è l’Iraq l’altro Paese della regione ad avere alcuni dei più importanti giacimenti di oro nero, al pari del confinante Iran. A Baghdad nel 1960, nel corso di una riunione promossa da uno dei produttori sudamericani più importanti, ossia il Venezuela, è stata data vita all’Opec. Si tratta del cartello che ha da subito incluso le nazioni più importanti legate alla produzione di oro nero. I fondatori sono, oltre al Venezuela, anche l’Iraq, l’Iran, l’Arabia Saudita ed il Kuwait. Obiettivo principale del cartello era quello di contrastare il predominio delle cosiddette “sette sorelle”, ossia le sette più importanti multinazionali del petrolio, perlopiù americane ed inglesi, che determinavano andamento di prezzi e produzione.
Oltre ai Paesi del golfo ed al Venezuela, negli anni sono entrati nell’Opec anche altri governi con il cartello che ha abbracciato anche altre aree del Golfo. Oggi infatti ne fanno parte di Paesi africani quali Libia, Algeria, Angola, Nigeria, Gabon, Repubblica Democratica del Congo e Guinea Equatoriale. Dal 1967 fanno parte dell’Opec anche gli Emirati Arabi Uniti, mentre in seguito sono entrati, sempre per quanto riguarda l’Asia, anche Indonesia e Qatar anche se questi ultimi hanno poi deciso di uscire. Per quanto riguarda il Sudamerica, l’altro grande Paese produttore ad entrare nell’Opec è stato l’Ecuador.
Il baricentro politico dell’Opec è storicamente stato sempre orientato verso i Paesi del Golfo. Lo si è visto ad esempio nel 1973 quando, poco dopo la guerra del Kippur in Israele, il cartello ha deciso di vietare l’esportazione del greggio nei Paesi occidentali che hanno sostenuto lo Stato ebraico. Una decisione quella che ha provocato, tra le altre cose, un incremento del prezzo di oltre il 70%. L’influenza economica e politica all’interno dell’Opec è stata detenuta storicamente dall’Arabia Saudita, essendo il principale Paese produttore di petrolio del cartello e l’unico in grado di poter usufruire di quantità di riserva. Tanto che Riad ha potuto tollerare alcune azioni unilaterali di altri Paesi dell’Opec, tagliando la propria produzione in caso di eccesso di barili prodotti da altri Stati.

I “nuovi produttori” ed il nuovo equilibrio internazionale
Negli ultimi anni la gestione del mercato del petrolio non è stata appannaggio dei Paesi dell’Opec. E questo per due tipi di motivi.
In primo luogo, all’interno della stessa Opec sono occorsi numerosi cambiamenti che hanno leggermente spostato l’asse decisionale del cartello. Diversi Paesi al di fuori dell’area del Golfo, hanno iniziato ad avere maggiori quote di mercato e ad assumere quindi posizioni di rilievo in seno all’Opec. Dall’Angola alla Nigeria, passando per le qualità del petrolio della Libia e per le novità politiche che hanno riguardato l’Iraq dalla caduta di Saddam Hussein del 2003, sono diverse le nazioni che hanno visto crescere le proprie quotazioni nel cartello.
In secondo luogo, sono subentrati negli ultimi anni profondi cambiamenti esterni all’Opec. A partire dall’aumento della produzioni di Paesi non aderenti al cartello quali, tra tutti, gli Stati Uniti e la Russia. Al loro fianco, hanno aumentato la propria quota all’interno del mercato del petrolio nazioni quali la Cina, il Canada, il Brasile, il Messico, l’Azerbaijan, il Kazakistan, per quanto riguarda l’Europa il primato della produzione spetta alla Norvegia, con Oslo che figura al quindicesimo posto assoluto tra i Paesi produttori.
Ma le vere novità sono arrivate soprattutto da Washington e da Mosca. Nel primo caso, l’uso della tecnologia del fracking, inaugurata nel 1998 ma decollata definitivamente a partire dal 2009, ha fatto sì che gli Usa abbiano potuto vedere il consolidarsi della propria posizione in cima alla lista dei Paesi produttori. Oggi gli Stati Uniti guidano questa classifica con più di 15 milioni di barili prodotti al giorno. Questo ha fatto in modo che, tra le altre cose, Washington abbia potuto diminuire la propria dipendenza dalle importazioni di oro nero dai Paesi del Golfo, con l’Opec che ha potuto incidere sempre meno sul prezzo del greggio. La Russia dal canto suo ha aumentato gli investimenti nel settore e la strategia di Mosca è stata negli ultimi anni quella di cercare un dialogo diretto con i sauditi per incidere sul mercato petrolifero. In tal modo è nato il cosiddetto “Opec Plus“, ossia un vero e proprio cartello che vede la presenza dei Paesi Opec e della Russia, con Mosca e Riad nel ruolo di coordinatori.
Una svolta importante sul mercato dell’oro nero è arrivata in occasione della pandemia di coronavirus di inizio 2020. La diffusione del virus ed il conseguente lockdown di molti Paesi, ha procurato un brusco calo della domanda, il quale a sua volta ha comportato un drastico crollo dei prezzi. Per la prima volta, in occasione del G20 dell’aprile 2020, si è giunti ad un accordo di taglio della produzione tra Arabia Saudita, Russia e Stati Uniti. Un patto che è stato rispettato e reso attuativo nelle settimane successive.

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