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Se famo na yaltina?

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Revival d’amore imperialistico tra Russia e Usa


E’ stato un parto difficile, ma alla fine il nuovo trattato sulla riduzione delle armi nucleari strategiche e di teatro ha visto la luce. Il presidente degli Stati uniti Barack Obama e il presidente russo Dmitri Medvedev hanno apposto a Praga la loro firma sul documento lungo 160 pagine e sui suoi allegati, ponendo le basi della nuova architettura della potenza nucleare dopo la scadenza del vecchio Start firmato dall’ultimo presidente sovietico Mikhail Gorbaciov e da George Bush padre. Una firma slittata per mesi di fronte a un punto su cui le due potenze nucleari non hanno trovato un preciso accordo e che, anche oggi, nella Sala spagnola del Castello della capitale ceca, è stato chiaramente ammesso dai due leader: il collegamento tra le armi offensive strategiche e l’armamento difensivo. In poche parole: lo scudo antimissilistico che gli Stati uniti intendono allargare anche all’Europa orientale. Le due diplomazie si sono esibite in capriole diplomatiche, che alla fine hanno portato a una soluzione di compromesso soddisfacente anche per Mosca, che però ha inteso presentare una sua dichiarazione unilaterale sull’aspetto più controverso. Il nuovo Start prevede che Usa e Russia possano avere 700 vettori – missili balistici intercontinentali (Icbm), missili balistici a lancio da sottomarino (Slbm) e bombardieri pesanti (Hb) – dispiegati e 1.550 testate. Il trattato, a validità decennale, stabilisce anche i nuovi meccanismi di verifica reciproca del suo rispetto. Dopo la firma del trattato e dei protocolli aggiuntivi, i due presidenti non hanno lesinato in aggettivi nei loro commenti in una conferenza stampa congiunta. Obama ha definito il nuovo Start “una pietra miliare per la sicurezza nucleare, per la non proliferazione e per le relazioni bilaterali” che renderà “gli Stati uniti e il mondo intero più sicuri”. Un trattato “storico”, che spera diventare una base per ulteriori tagli agli arsenali nucleari. Il riferimento è, da un lato, alle testate delle due potenze non dispiegate – si parla di circa 6mila – e agli altri paesi che hanno o si vogliono dotare dell’arma atomica. Proprio a Praga, un anno fa, il leader americano pronunciò un importante discorso sulla non proliferazione nucleare. Oggi Obama ha ribadito la volontà Usa di rafforzare il Trattato di non proliferazione nucleare (Tnp).

Nostalgia d’imperialismo bipolare. L’accordo, che vede russi e americani nuovamente nelle vesti  di arbitri del mondo (formali in realtà, vista la potenza di Cina e Israele), è l’effetto di molte cause ed è anche la comprova della straordinaria velocità di slittamenti della situazione internazionale ai giorni d’oggi, situazione di cui l’eccezionalità è stata colta davvero da pochi.
Un anno fa le parti erano distanti e la Russia era più vicina all’Europa mentre, dal canto loro, gli Usa cercavano di rilanciare la guerra fredda ad est armando i camerieri satelliti. Nazioni come la Polonia, la Repubblica Ceca o la Romania affidate a poveri lacchè, insomma a dei Fini di turno.
Oggi la Russia ha ripreso a ragionare da superpotenza inter-oceanica, gli Usa sono più concentrati sul Pacifico e sulle crisi economiche e sociali interne e meno minacciosi per Mosca dal centroest europeo. L’Europa e soprattutto la zona Euro sono invece sotto il contrattacco anglo-americano, partito dalla Grecia e allargatosi al Portogallo.
L’Unione Europea, ancora un nano politico malgrado i conati di Lisbona, si è lasciata sorprendere e superare ancora una volta dalla situazione.
Paradossalmente, purtroppo, il suo cuore, ovvero il polo carolingio franco-tedesco, vede la sua potenza mitigata dalle burocrazie e dalle teocrazie ideologiche che vi apportano un alto tasso di cultura e di mentalità immuno-deficiente e lo minano dall’interno.
Purtroppo il populismo, che può rivelarsi decisivo nella fuoriuscita dell’impasse, c’è più in periferia che non al centro. E così ci dobbiamo sorbire caricature e riedizioni di Yalta unite a retoriche sulle guerre patriottiche sovietiche.
In pochi mesi, da un ruolo strategico che avevamo raggiunto più per le contingenze che per nostri meriti, siamo passati nuovamente nella scia degli eventi: da attivi a passivi.
Per fortuna la nostalgia di Yalta è mal riposta; né la Cina né Israele lasceranno chiudersi concretamente quest’accordo e per l’Europa le prospettive restano, ma bisogna lavorare sodo e subito.

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