Sempre più esigui i contributi per le ricostituzioni postbelliche di un paese distrutto da due guerre e da un severissimo embargo.
L’Occidente e i suoi alleati, insomma, non hanno abbastanza quattrini (o li hanno e non possono spenderli) per tutte le imprese in cui si lanciano. Saranno conti della serva, ma sarebbe stato meglio tenerli a portata di mano prima di promettere la ricostruzione dell’Irak. Non bastano gli interventi armati, dunque, e neppure le forze armate, come ricorda il generale Fraticelli. Il quale, poi, per carità di patria, evita di affondare il colpo e si limita a lamentare l’assenza delle “associazioni non governative” e delle “organizzazioni internazionali” dalla regione irachena controllata dalle truppe italiane.
È una rimostranza che i nostri soldati hanno finora espresso solo a mezza bocca, ma che è ben presente ai loro occhi, anche perché gli ordini e le priorità della missione in Irak sono chiari: primo, garantire la sicurezza dell’area; secondo, agevolare l’afflusso degli aiuti umanitari e la ricostruzione. I contingenti che si sono avvicendati a Nassiriya, invece, hanno dovuto fare l’uno e l’altro: proteggersi e proteggere gli iracheni, ma anche far ripartire la centrale elettrica, distribuire gli stipendi agli ex soldati, asfaltare le strade.