Forze dell’ordine contestate da tutta la popolazione di un quartiere napoletano dove governa la camorra.
NAPOLI – Scendono in strada, all’alba, per inveire contro le forze dell’ordine. Decine di donne, alcune ancora in vestaglia e con i bambini per mano, si ribellano all’irruzione dei carabinieri nel santuario dello spaccio della droga, quel «rione dei Fiori» – qui conosciuto emblematicamente come «Terzo mondo» – dove le sentinelle dei clan impediscono, di fatto, l’accesso agli sconosciuti. In questa zona, il coordinamento interforze del blitz assegna all’Arma dei Carabinieri il compito di intervenire. Uomini in divisa, auto e camionette, reparti speciali e un elicottero, con l’ausilio dei vigili del fuoco per rimuovere le fortificazioni abusive – cancelli, inferriate – create a difesa dello spaccio di droga. I carabinieri arrivano a sirene spente, ma già i riflessi dei lampeggianti svegliano gli abitanti del rione: e da dietro le finestre partono i primi «jatevenne», andate via. I militari irrompono negli appartamenti, le porte blindate vengono sfondate, alcune palazzine setacciate casa per casa alla ricerca dei destinatari dei provvedimenti di fermo. In strada, intanto, si raduna una piccola folla. Quasi tutte donne, pronte anche a fare barriera a difesa di porte e verande, alcune con i figli per mano. L’atmosfera è tesa ma non degenera, il bilancio finale parla al massimo di qualche spintone. Però le donne del «terzo mondo» non rinunciano a farsi sentire, e anzi cercano telecamere e taccuini dei cronisti per urlare la loro insofferenza verso il blitz delle forze dell’ordine. «Stavamo meglio quando stavamo peggio», è la frase più ricorrente: vale a dire un rimpianto per l’epoca della pax camorrista, quando lo spaccio di droga filava liscio sotto il controllo del clan di Paolo Di Lauro e non esistevano ancora gli «scissionisti», decisi a scalzare il loro capo di una volta. Alla rivolta delle famiglie contigue alla camorra si somma, però, anche il disagio di chi soffre ogni giorno la pressione asfissiante dei clan e contesta le generalizzazioni: «Qui abitano tantissime persone oneste – dice una donna – e non mi pare giusto che i nostri figli debbano vivere questa nottata di assedio, tra pistole spianate e porte sfondate, quando poi ogni giorno si cerca invano la presenza dello Stato». Le donne del «rione dei Fiori» restano in strada per ore, pronte a urlare contro i carabinieri. Intanto i militari entrano anche nella villetta-bunker del capo dei capi, il boss Paolo Di Lauro. “Ciruzzo ‘o milionario”, come è soprannominato, risulta latitante da anni e da tempo non abita più lì: l’ingresso dei carabinieri in quella palazzina a un piano, circondata da robusti cancelli, dà comunque il senso di una rivincita contro l’idea dell’inviolabilità dei «santuari» malavitosi. Fu proprio a pochi metri da questa casa che, lo scorso ottobre, vennero feriti tre carabinieri in borghese, di ritorno da una serata in pizzeria, vittime di una delle tante ronde del clan che di notte pattugliano il rione. Le stesse ronde che, stavolta, sono state costrette a battere in ritirata. La recente cronaca di Napoli è piena, però, di episodi in cui le donne scendono in strada per inveire contro le forze dell’ordine, quando non cercare di impedire apertamente arresti di camorristi così come di piccoli spacciatori. Spesso si è assistito, specie nei quartieri spagnoli al lancio di oggetti e suppellettili, come nel famoso film “Le giornate di Napoli”, per fermare o rallentare l’opera delle forze di polizia, che in questi luoghi sono viste come il fumo negli occhi.