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Intelligenza artificiale: in Italia il 21% dei lavoratori la usa regolarmente

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Lavoro verso il domani

Quale sarà l’impatto dell’intelligenza artificiale nel mondo del lavoro? E quanto peserà nella ricerca di talenti e risorse professionali da impiegare? Queste sono alcune delle domande a cui cerca di rispondere uno studio realizzato da Boston Consulting Group (Bcg) insieme a The Network e The Stepstone Group attraverso un sondaggio condotto su 150.000 persone in 188 Paesi. L’indagine, Decoding Global Talent 2024: How Work Preferences Are Shifting in the Age of GenAI, ha incluso il 51% di uomini e il 49% di donne, un’età compresa principalmente tra i 20 e i 40 anni, quindi in una fase iniziale o intermedia della propria carriera.

Nell’attuale mercato del lavoro, caratterizzato da tassi di disoccupazione record e un elevato numero di posti vacanti, il 64% dei rispondenti a livello globale ritiene di avere una forte posizione negoziale. In Italia la percentuale si attesta a circa il 50%. Si tratta di una prospettiva universale, indipendentemente dal ruolo lavorativo, e tale fiducia non è infondata: il 75% dei lavoratori (in Italia il 73%) ha dichiarato di essere contattato per opportunità di lavoro almeno qualche volta all’anno, mentre il 19% settimanalmente (14% in Italia). “Appurato che la forza lavoro globale ha ormai acquisito una chiara consapevolezza del proprio valore, è essenziale che i datori di lavoro comprendano quali elementi siano realmente attrattivi per i talenti – afferma Matteo Radice, Managing Director e Partner di Bcg – Oggi, al vertice delle priorità emerge la sicurezza del posto di lavoro, una risposta legata alle crescenti preoccupazioni riguardo l’occupazione a lungo termine, acuite dalla consapevolezza dell’impatto della GenAI. Altrettanto importanti per i talenti sono l’equilibrio tra lavoro e vita privata, la compensazione economica, le buone relazioni con i colleghi e, infine, le opportunità di apprendimento e sviluppo professionale”.
La maggior parte dei lavoratori nel mondo non è preoccupata che l’Intelligenza artificiale possa sostituirli nei loro ruoli: il 25% (in Italia il 26%) pensa che l’IA non avrà alcun effetto e solo il 5% crede che diventeranno obsoleti (in Italia il 7%). Tuttavia, il 49% prevede che alcuni aspetti dei loro lavori cambieranno, richiedendo lo sviluppo di nuove competenze. I lavoratori nelle economie emergenti mostrano la maggiore consapevolezza della potenziale perdita o trasformazione significativa dei lavori e le opinioni differiscono anche per professione: coloro che lavorano nei servizi finanziari, nel design e nel servizio clienti sono i più propensi a prevedere cambiamenti nei loro ruoli rispetto a lavoratori sociali e manuali. Complessivamente il 57% è disposto a fare reskilling, quindi apprendere nuove competenze, per rimanere competitivo, in Italia il 63%.
L’ 86% dei rispondenti a livello globale ha dichiarato di aver sentito parlare dell’ Intelligenza artificiale e più del 50% ha affermato di averla sperimentata almeno una volta di recente, compreso circa il 39% che definiamo utilizzatori regolari. Se l’istruzione e il genere hanno poco impatto sulla probabilità che i lavoratori utilizzino l’IA, l’età svolge un ruolo significativo: i rispondenti di 30 anni o meno hanno i tassi di adozione più elevati e il 49% di loro la utilizza regolarmente. Anche i fattori legati al lavoro giocano un ruolo significativo: le persone con ruoli digitali e IT sono le più propense a essere utilizzatori regolari dell’IA, seguite da quelle con ruoli nel marketing, nei media e nel design. La situazione è simile per quanto riguarda i settori industriali: tecnologia e IT sono in testa, seguiti dai media e poi da scienza e ricerca. Per i datori di lavoro è dunque importante capire quali sono le relazioni dei dipendenti con questa tecnologia e come aiutarli ad adattarsi al nuovo mondo del lavoro.
I primi 10 Paesi per percentuale di lavoratori che utilizzano l’IA regolarmente sono a basso reddito e non occidentali, come India e Pakistan.
Tra le economie a reddito più elevato, la maggior parte dei Paesi europei ha tassi di adozione inferiori alla media. Gli ultimi dieci posti sono dominati da Paesi in Medio Oriente ed Europa, tra cui l’Italia, dove solo il 21% dei rispondenti usa l’IA regolarmente: questo potrebbe riflettere regolamentazioni più rigide e una maggiore percezione di potenziali minacce e rischi.

Le priorità per i lavoratori
L’ interesse crescente per la sicurezza del lavoro è universale, ma le preferenze differiscono a seconda della regione di provenienza dei rispondenti e dell’età. Gli europei mostrano meno preoccupazione rispetto ai lavoratori di altre regioni, dando invece priorità all’equilibrio vita-lavoro.
In Italia la sicurezza del lavoro torna al primo posto, seguita da apprendimento e sviluppo professionale e dai buoni rapporti con i colleghi. Le differenze sono significative anche in base all’età: apprendimento e sviluppo sono fondamentali per i lavoratori di 30 anni o meno, ma gradualmente l’importanza diminuisce fino a scomparire tra i rispondenti di età superiore ai 50 anni. Al contrario, le buone relazioni con manager e colleghi sono prioritarie per le generazioni più anziane
Ci sono poi i fattori che potrebbero spingere i talenti a rifiutare una buona offerta di lavoro: a livello globale il 54% rifiuterebbe se si facesse un’opinione negativa dell’azienda durante il colloquio e, ad esempio, se venissero poste domande considerate discriminatorie. In Europa questa percentuale si attesta al 70% e in Italia al 47%. Un impatto negativo dell’azienda sulla società è il secondo motivo di rifiuto più importante: circa il 40% dei talenti non si unirebbe a un datore di lavoro i cui servizi, attività o prodotti abbiano un effetto sociale nocivo (in Italia la percentuale è del 28%); segue l’assenza di supporto per la salute mentale o il benessere (33%), fattore che a livello globale conta per il 40% dei rispondenti. Anche la mancanza di misure legate alla sostenibilità o iniziative ambientali diventano motivi di rifiuto, così come l’impossibilità di lavorare da remoto.

Come colmare la carenza di talenti nel mondo del lavoro?
In primis, i datori di lavoro devono prevedere l’impatto della tecnologia sulla forza lavoro: ciò implica quantificare come le nuove tecnologie influenzeranno il bisogno di lavoratori e competenze, ma anche confrontare la loro valutazione della domanda con una previsione dell’offerta di talenti, considerando età di pensionamento e turnover. Inoltre, i manager dovranno attrarre talenti comprendendo le loro diverse esigenze, ottimizzando il recruitment. Qui l’IA può essere un valido aiuto per creare annunci e gestire la programmazione dei colloqui. Il terzo step per i datori di lavoro è far crescere i talenti passando dalla formazione tradizionale all’upskilling e reskilling strategici: in concreto significa assicurarsi che i programmi di formazione siano strettamente allineati con gli obiettivi aziendali.
Secondo gli esperti sarà inoltre necessario aumentare l’adozione dell’IA per far sì che un numero maggiore di lavoratori sia in grado di utilizzarla per compiti avanzati. Infine, è necessario coinvolgere i talenti aiutandoli a gestire e ad affrontare l’incertezza: il primo passo è la promozione di una comunicazione aperta e trasparente sul futuro dell’azienda e sull’adozione delle tecnologie, così come la creazione di un sistema di mobilità interna e l’offerta di servizi di supporto alla salute mentale e al benessere emotivo. A questo proposito, stabilire politiche flessibili sugli orari lavorativi e supportare l’equilibrio vita-lavoro porterà i dipendenti ad apprezzare ancor di più la loro posizione e a non cercare un nuovo impiego.

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