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Strage di Primavalle

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Trentott’anni d’impunità

Il 16 aprile 1973 veniva consumato il vile eccidio dei fratelli Mattei, Virgilio, 22 anni e Stefano, 10 anni, arsi vivi in piena notte nel proprio appartamento da un commando di Potere Operaio in procinto di passare alla lotta armata.
Stefano e Virgilio, un bambino e un adolescente di estrazione operaia, colpevoli di essere fascisti, vennero immolati, ovviamente in nome del dio proletariato, alla legge ferrea della lotta di classe da un commando in gran parte composto da rampolli della buona borghesia e che da essa sarebbe stato protetto oltre ogni ragionevole limite.
Per coprire le complicità della prole di uno dei suoi padroni, la stampa s’impegnò da subito a fuorviare, farneticando di faide tra “falchi” e “colombe” della locale sezione missina.
Solo tre degli assassini vennero in seguito incriminati ma furono condannati per un risibile omicidio colposo e ripararono all’estero in tutta tranquillità sotto la copertura dell’Internazionale socialista.
Altri assassinii e altre stragi di fascisti consumate dai medesimi ambienti negli anni successivi sarebbero rimasti impuniti malgrado gli indizi, le prove e persino le confessioni.
“Uccidere un fascista non è reato”, specie se l’impunità è merce di scambio nella ricostruzione storica di comodo pretesa dal potere sui retroscena della lotta armata e del colpo di Stato realizzato durante il sequestro-Moro cui le strutture che inaugurarono la loro scia di terrore proprio a Primavalle fornirono gran parte dell’apparato logistico e delle bocche di fuoco.

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