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The Romanian job

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Ronde, sicurezza, immigrazione e sbandamenti vari

A me queste ronde non piacciono, e neppure tutto quello che c’è dietro.

Oltre vent’anni fa mi schierai su posizioni assai impopolari per il mio ambiente perché difendevo a spada tratta quel Le Pen che i pre/post-neofascisti vedevano come il fumo negli occhi, in quanto, dicevano loro (che leggevano Repubblica) era un atlantista, un borghese, un occidentalista e non capiva il valore rivoluzionario delle etnie sottomesse.


I giovani rampolli della dr pensavano che mi fossi rimbambito. Quando qualcuno mi veniva a trovare a Parigi, senza dirgli niente me lo portavo a passeggio nelle zone del cous cous e dopo un paio d’ore dovevo calmarne i bollori reazionari.


Sono quasi trent’anni che sono conscio, per esperienza, del problema dell’immigrazione che sfocia in tre disastri: globalizzazione multirazzista all’americana, guerra tra poveri e internazionalizzazione delle classi produttrici. Ovvero una minaccia sociale e nazionale assoluta. Sono pure trent’anni che, esattamente come Le Pen (che ha difeso il Terzo Mondo come pochi) non liquido il tutto con formule drastiche quanto idiote. Come Le Pen, e a differenza di molti lepenisti, non confondo l’immigrazione con gli immigrati. Più ancora, so che “l’Immigrato” in sé non esiste. Sono consapevole che ci sono milioni di casi diversi, capisco perfettamente che a monte (ma spesso anche a valle) il dramma dei popoli che poi si riversano sulle nostre terre è stato causato, ed è alimentato ogni giorno, dalle nostre classi dirigenti, imbevute di lucro, progressismo, buonismo e universalismo. Gli stessi che, poi, pensano di dover “concedere la nazionalità” (quasi fosse la tessera di un club) agli immigrati una volta qui. Non perché così acquisirebbero parità di diritti, per questo basta la regolarizzazione, ma perché i nostri ideologi – di destra e di sinistra – hanno l’odio per l’appartenenza, sono antinazionali e cosmopoliti per scelta dissolutoria e pretendono di allargare a tutti la loro follia.




Proposte concrete




Per queste ragioni e partendo da queste basi ho intrapreso una serie di studi, scaturiti nel quaderno sull’immigrazione del Centro Studi Polaris. Non volevo che ci si limitasse all’analisi delle cause e ad eventuali risposte complete, ma impraticabili al quotidiano, come l’attendere il fallimento del Wto, dell’Fmi e la fuoriuscita dal sistema delle Multinazionali, cercavo delle proposte concrete e immediate. E ce ne sono. La prima, la più importante, verte a ridurre il business sull’immigrazione. Un business che non riguarda solo i datori di lavoro ma le associazioni che vivono di quella piaga. In particolare la Caritas che usufruisce di quasi la metà dell’otto per mille versato alla Chiesa e lo spende per alimentare l’immigrazione clandestina. Alla Caritas si aggiungono miriadi di associazioni foraggiate con il cinque per mille. Il ruolo di queste associazioni e il fatto che esse vivano del disagio sociale e prendano tante più sovvenzioni quanto più questo aumenta è centrale. Furono esse che in Francia accesero la famosa “rivolta delle banlieues” di tre anni fa e la spensero non appena ottenuto il raddoppio dei finanziamenti pubblici cui avevano avuto diritto fino ad allora. Basterebbero due battaglie legali – l’eliminazione delle sovvenzioni pubbliche e l’istituzione dei contributi per gli immigrati in fondi bloccati nel Paese d’origine – per iniziare quantomeno un’inversione di tendenza. E invece…


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