Uno dei comandanti della prigione delle torture di Baghdad confessa che le sevizie venivano praticate regolarmente dalla Cia.
Baghdad, 21 ott. – La Cia non solo sapeva degli abusi che veniva compiuti nel carcere di Abu Ghraib, vicino a Baghdad, ma spesso conduceva direttamente interrogatori non proprio ortodossi. A rivelarlo e’ stato il capitano Donald Reese, uno dei comandanti della polizia militare responsabile della sicurezza nella prigione. Reese ha testimoniato in videoconferenza al processo per torture contro il sergente Ivan Frederick che si e’ aperto ieri davanti alla corte marziale, in una base militare alla periferia di Baghdad. Quando scoppio’ lo scandalo delle violenze compiute dai soldati americani sui prigionieri iracheni e le foto della vergogna circolarono in tutto il mondo, il presidente George W. Bush e il Pentagono attribuirono la colpa a “poche mele marce”. A sentire Reese, pero’, le cose andarono ben diversamente. Il capitano ha raccontato che ufficiali Oga, l’acronimo dell’espressione inglese Other Government Agency (Altre agenzie governative) utilizzato per indicare uomini della Cia, interrogavano i detenuti soprattutto la notte, quando c’era minor sorveglianza. Un prigioniero che gli 007 privarono del sonno, una delle tecniche usate per estorcere confessioni, fini’ per soffrire di attacchi di panico. “Loro venivano in qualsiasi momento del giorno; entravano dal retro e mettevano” i detenuti “in una delle celle. Poi ci dicevano che sarebbero tornati a occuparsene”, ha raccontato Reese. Il sergente, comandante della 372.ma compagnia della polizia militare, ha riferito che vi erano cosi’ tante persone deputate agli interrogatori che era difficile capire chi fossero. “La situazione era molto confusa”, ha detto, “talvolta indossavano abiti civili, altre uniformi militari. E capitava che gli agenti dei servizi segreti militari si togliessero la targhetta con il nome”.
Reese ha spiegato che dopo il suo arrivo ad Abu Ghraib, nell’ottobre del 2003, vide diversi prigionieri nudi e si meraviglio’ di quanto accadeva.
“Domando’ qualcosa in proposito?”, gli ha chiesto l’avvocato di Frederick, Gary Myers. “Mi fu detto che era opera dei servizi segreti militari e che era una pratica accettata”, ha replicato.
Una conferma alla testimonianza di Reese e’ arrivata da Kevin Kramer, ufficiale dei servizi militari. Ai giudici ha raccontato di avere ricevuto nell’agosto scorso, prima che si diffondesse in modo sistematico la pratica di torturare i prigionieri, un’e-mail nella quale si ordinava di “inasprire” gli interrogatori. La missiva, letta alla corte marziale e ammessa come prova, era stata trasmessa da un capitano in forza al quartier generale del Comando centrale americano a Baghdad.
“Ci fu detto che non ricevevano le informazioni che si aspettavano di avere e che non”, ha spiegato Kramer. “E’ arrivato il momento di togliersi i guanti, signori”, diceva l’ufficiale ai colleghi di Abu Ghraib.
E i suoi ordini furono eseguiti. Per questo ora Frederick e’ alla sbarra con cinque capi di imputazione. Ieri si e’ dichiarato colpevole e gia’ per oggi e’ attesa la sentenza.
Questa mattina poi si e’ aperto a Baghdad un altro processo a un militare americano, il sergente Cardenas Alban del Primo cavalleggeri. E’ accusato di omicidio premeditato per l’uccisione di un civile iracheno a Baghdad.