mercoledì 12 Febbraio 2025

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Un recente esperimento ha spinto i confini della nostra comprensione del mondo quantistico, utilizzando particelle di luce, o fotoni, che esistono contemporaneamente in 37 dimensioni per mettere alla prova una versione estrema di un famoso paradosso.
Come afferma Zhenghao Liu della Technical University of Denmark, “questo esperimento dimostra che la fisica quantistica è ancora più strana di quanto pensassimo. Forse stiamo solo grattando la superficie di una realtà molto più complessa”.
Il fulcro dell’esperimento è il paradosso di Greenberger-Horne-Zeilinger (GHZ), che da oltre trent’anni dimostra come le particelle quantistiche possano rimanere misteriosamente connesse anche a grandi distanze e per lunghi periodi. Nella sua forma più semplice, il paradosso riguarda tre particelle legate da un legame speciale chiamato entanglement quantistico. Questo legame permette di ottenere informazioni su una particella osservando le altre due. Si tratta di un principio non solo con valenza teorica, ma che anche ha una applicazione pratica nei computer quantistici.

Il paradosso nasce quando si assume che le particelle possano influenzarsi a vicenda solo se vicine, escludendo la possibilità di un’azione “spettrale” a distanza. In questo caso, si arriva a un’impossibilità matematica, come se si dimostrasse che 1 è uguale a -1. Negli anni ’90, i fisici hanno capito che l’unico modo per risolvere questo paradosso è accettare che le particelle possano effettivamente agire “spettralmente” a distanza, un concetto controintuitivo ma fondamentale della meccanica quantistica.
Liu e il suo team hanno cercato di creare la versione più estrema possibile di questo paradosso, cercando gli stati dei fotoni che si comportassero nel modo più “non classico” possibile in un esperimento GHZ. I loro calcoli hanno rivelato che i fotoni dovevano trovarsi in stati quantistici estremamente intricati, come se esistessero in 37 dimensioni. Proprio come la nostra posizione nello spazio-tempo è definita da tre dimensioni spaziali e una temporale, lo stato di questi fotoni richiede 37 “coordinate” per essere descritto.

Per testare questa idea, i ricercatori hanno tradotto una versione multidimensionale del paradosso GHZ in una serie di impulsi di luce estremamente coerenti, cioè con colore e lunghezza d’onda estremamente omogenei, che hanno poi manipolato.
Rendere l’idea di entanglement è sempre un po’ complesso
“La luce codifica uno stato e le misurazioni su di essa seguono le stesse regole della fisica quantistica. Il nostro esperimento può quindi riprodurre alcuni degli effetti più non classici del mondo quantistico”, spiega Liu. Questo tipo di “simulazione quantistica” è tecnicamente molto difficile e richiede dispositivi estremamente stabili e precisi.
Questo esperimento, definito da Otfried Gühne dell’Università di Siegen come un “risultato per l’eternità”, nel senso che potrebbe essere rilevato anche fra cento anni, non solo ci aiuta a comprendere meglio i limiti della meccanica quantistica, ma potrebbe anche avere importanti implicazioni per l’informatica quantistica, dove gli stati quantistici di luce e atomi vengono utilizzati per elaborare informazioni.

Liu sta già pensando al futuro, e il suo prossimo obiettivo è proprio quello di capire come rendere i calcoli più veloci codificando le informazioni in stati quantistici simili a quelli già studiati dal suo team.
Questo esperimento è quindi un passo importante verso una comprensione più profonda della realtà quantistica e delle sue potenziali applicazioni, aprendo la strada a un futuro in cui la “spettralità” quantistica potrebbe diventare la norma.

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