Auto, carta, energia: la corsa allo spreco continua a crescere.
Negli Stati Uniti ci sono più automobili che cittadini con patente, i grandi fuoristrada dai consumi spropositati tirano la volata delle vendite, le compagnie minerarie mangiano le montagne ridecendone l’altezza anche di decine di metri. E la Cina cresce a un ritmo impressionante: a questa velocità nel 2015 avrà 150 milioni di automobili, 18 milioni in più rispetto a quelle he giravano nel 1999 negli Stati Uniti.
Sono due dei flash contenuti nello “State of the World 2004”, il rapporto del Worldwatch Institute appena uscito in Italia con le Edizioni Ambiente. Il rapporto ha cambiato formula: è diventato una monografia quest’anno dedicata ai consumi. Un settore caratterizzato da una crescita che non basta a far uscire l’economia da una lunga crisi strisciante ma che è sufficiente a produrre un impatto ambientale devastante il cui costo non viene inserito nei conteggi ufficiali.
Mentre due quinti della popolazione mondiale (2, 8 miliardi di persone) vivono con meno di due dollari al giorno, il mercato dei consumatori si allarga anche nei paesi in via di sviluppo e la pressione sugli ecosistemi cresce. Ad esempio l’uso della carta è sestuplicato tra il 1950 e il 1997 e raddoppiato dalla metà degli anni Settanta a oggi: gli Stati Uniti consumano un terzo della carta prodotta nel mondo, 300 chili l’anno a testa, contro un quarto di un indiano. Entro il 2050 – prevede il Worldwatch Institute – la produzione di carta e pasta da legno potrebbe arrivare a rappresentare più della metà della domanda mondiale industriale di legno.
Nell’arco di un terzo di secolo (tra il 1960 e il 1995) l’uso dei minerali è aumentato di due volte e mezza, quello dei metalli del 210 per cento, del legname del 230 per cento, dei materiali sintetici del 560 per cento. E contemporaneamente è cresciuta la potenza del sistema estrattivo: negli Stati Uniti tra il 1960 e i primi anni Novanta la capienza degli autotreni è aumentata di otto volte passando da 32 a 240 tonnellate; nello stesso periodo, sempre negli Usa, il minerale estratto da ogni minatore è triplicato; e gli impianti di lavorazione del legname sono arrivati a inghiottire fino a cento autotreni di legno al giorno.
E’ un sistema che si regge su un doppio errore. Il primo è ecologico: i rifiuti vengono eliminati con scarsa attenzione all’impatto sugli ecosistemi producendo un inquinamento significativo. Il secondo è economico: il mancato riutilizzo degli scarti di produzione comporta un formidabile spreco, ad esempio per ogni tonnellata di rame utilizzata si creano 110 tonnellate di materiali di scarto.
L’alternativa alla cultura dello sperpero è il ciclo chiamato “dalla culla alla culla”: anziché limitarsi a rincorrere la marea montante dei rifiuti, si punta a una struttura produttiva in cui “i cicli della natura fungono da modelli per un design umano a impatto solo positivo. All’interno di questa struttura possiamo creare economie che dipendano dalla disponibilità di energia solare, che non producano rifiuti tossici, che usino materiali sicuri e sani, che siano di alimento per la terra o che possano avere un riciclo illimitato”.
Lo “State of the World 2004” non si limita a tracciare il profilo teorico del nuovo modello produttivo, ma elenca decine di esempi di innovazioni vincenti sia sotto il profilo economico che sotto quello ecologico. Si va dal successo del tessuto per tappezzeria Climatex Lifecycle, una miscela di lana priva di residui antiparassitari colorata e lavorata senza usare sostanze tossiche, alla moquette Zeftron Savant basata su una fibra illimitatamente riutilizzabile. Dalle potenzialità del riciclo (con i 32 miliardi di lattine buttate via nel 2002 dagli statunitensi si potrebbe ricavare l’alluminio necessario a ricostruire l’intera flotta aerea commerciale del mondo una volta e mezza) a quelle del passaggio dalla proprietà dell’uso de