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L’ospizio di Oliver sta per essere demolito

Hanno trovato l’ospizio di Oliver Twist, ma le ruspe si preparano a distruggerlo. Una ricercatrice britannica afferma di avere finalmente individuato la “workhouse”, come si chiamavano in inglese, dell’indimenticabile orfanello del romanzo di Charles Dickens. Erano gli asili dove la povera gente riceveva ospitalità e un misero lavoro nell’Inghilterra della rivoluzione industriale, in un periodo di tremende sperequazioni sociali. Storici e critici letterari hanno cercato a lungo di localizzare la fonte d’ispirazione per il romanzo con cui Dickens denunciò le ingiustizie del suo tempo – ingiustizie che lui stesso aveva conosciuto, cambiando indirizzo 17 volte nei primi ventun anni della sua vita, costretto a lavorare in una fabbrica all’età di 11 anni, in un vicolo vicino allo Strand, la grande strada londinese che conduce a Trafalgar Square. E finendo per vivere con tutta la famiglia perfino in una specie di prigione, la Marshalsea Debtors’ Prison, nel quartiere di Southwark, sulla riva meridionale del Tamigi quando i debiti del padre fecero perdere loro anche la squallida abitazione in cui risiedevano.
Ma adesso Ruth Richardson, una apprezzata storica della medicina – autrice di un libro molto acclamato in Gran Bretagna, “Death, dissection and the destitute” (Morte, dissezione e i poveri) su un’altra tragedia dell’epoca vittoriana, il fenomeno del furto dei cadaveri nei cimiteri per venderli agli istituti di anatomia per ricerche scientifiche – ha annunciato di avere scoperto l’ospizio descritto minuziosamente da Dickens in Oliver Twist, insomma l’edificio originale che fece da modello per la fantasia dello scrittore. Si chiama Strand Union Workhouse ed è situato su Cleveland Street, una stradina che scende dall’angolo sudorientale di Regent’s Park verso Oxford Street, a pochi isolati da Bloomsbury, il quartiere degli scrittori e degli intellettuali reso celebre da Virginia Woolf. All’epoca di Dickens, tuttavia, era una zona poverissima della capitale. Dickens visse al numero 22 di Cleveland Street per due volte, trai 3 e i 5 anni e poi di nuovo trai 17 e i 20: un periodo cruciale per il suo sviluppo creativo, perché a 17 anni cominciò a fare il giornalista per gazzette locali, e andando in giro come cronista vide con i suoi occhi altre miserabili esperienze umane, oltre a quelle che aveva vissuto sulla propria pelle. Ebbene, l’ospizio scoperto dalla Richardson è ad appena nove portoni di distanza dalla casa in cui abitava Dickens.
“Il giovane Dickens, il futuro scrittore, avrebbe potuto sentire le martellate degli operai che ci lavoravano, annusare l’odore nauseabondo delle zuppe che vi venivano servite, praticamente senza muoversi da casa”, osserva la ricercatrice. E questo ricordo gli avrebbe poi permesso di scrivere, nel 1838, il suo secondo romanzo, rimasto forse il suo più famoso, “Oliver Twist”, la storia dell’orfanello che finisce prima all’ospizio, poi in una banda di piccoli ladruncoli, e dei suoi sforzi per approdare a una vita migliore. Un libro che ha dato vita a un’infinità di film, riduzioni televisive, spettacoli teatrali, incluso il recente musical “Oliver” che ha tenuto banco sino a pochi mesi fa nel West End di Londra.
La scoperta della “workhouse” dickensiana potrebbe essere l’ultima speranza che l’edificio non venga demolito. La proposta di includerlo nella lista dell’English Heritage, cioè dei monumenti storici da conservare, è stata bocciata nel 2007, sebbene siano rimasti solanto altre due “case di lavoro” per poveri, entrambe in disuso da molto tempo ovviamente, in tutta Londra. Diventato un ospedale all’inizio del ‘900, il vecchio fatiscente palazzo in mattoncini scuri è stato riadattato da qualche anno in alloggi popolari, affittati a un prezzo pressoché simbolico a poveri, studenti, artisti squattrinati, che si arrangiano ad abitarci nonostante il fatto che cada a pezzi e che porti tutti i segni del suo passato, luogo di lavoro per orfani prima, ospedale dei poveri poi. “Io ci abito dal 2006”, dice Tacita Vero, una degli attuali occupanti, “e sono probabilmente una delle più felici inquiline che queste pareti abbiano mai visto. Quasi tutti quelli che ci stanno sono come me, giovani, con pochi soldi e tante idee, siamo degli artisti creativi che sperano di affermarsi, ben contenti di potere abitare nel centro di Londra a prezzi così economici mentre sviluppiamo i nostri progetti. I fantasmi del passato, se popolano ancora questo edificio, non ci danno alcun fastidio”.

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