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L’eterna guerra americana all’Eni nell’affaire Wikileaks

La diffusione di documenti riservati del Dipartimento di Stato americano sul sito web di Wikileaks ha riacceso i riflettori sulle relazioni tra Italia e Russia, e in particolare sui legami tra i due Paesi in campo energetico. Si tratta di commenti e valutazioni di personale diplomatico e di esperti, ma ne emerge indubbiamente una forte preoccupazione americana per il destino energetico dell’Europa, e soprattutto per l’influenza che Mosca può esercitare sul vecchio continente facendo leva sulle forniture di gas. In questo contesto, le relazioni personali tra Berlusconi e Putin, e quelle commerciali tra Eni e Gazprom, vengono interpretate, con una certa superficialità, come un elemento potenzialmente destabilizzante per la sicurezza energetica europea, se non come una minaccia all’unità transatlantica.
Quali novità?
In realtà, non è una novità che gli americani guardino con preoccupazione a certi atteggiamenti russi verso l’Europa. Ed è arcinoto che le perplessità di Washington si concentrano sulle relazioni energetiche tra Russia e partner europei. Non potrebbe essere altrimenti, considerando che la Russia è il maggiore produttore globale di idrocarburi, mentre l’Europa è una delle regioni più dipendenti dalle risorse energetiche estere.
I documenti pubblicati da Wikileaks mettono poi in luce una specifica preoccupazione americana per l’intensa cooperazione commerciale e tecnologica tra Eni e Gazprom nello sviluppo e trasporto delle risorse energetiche russe. Ma sia la cooperazione italo-russa in ambito energetico sia le reazioni che suscita a Washington sono parte di un quadro ben noto. I rapporti tra le due compagnie energetiche nazionali sono consolidati da almeno quattro decenni, e non hanno mai subito seri contraccolpi nemmeno durante i radicali cambiamenti politici dei primi anni ’90.
In quest’ottica, la stessa relazione personale tra Berlusconi e Putin, che irrita Washington, non rappresenta altro che uno dei tasselli della partnership energetica italo-russa, avviata cinquant’anni fa (in piena Guerra Fredda) dall’Eni di Mattei con i primi accordi petrolio-per-tecnologie e portata avanti negli anni in modo bipartisan, come dimostra il ruolo attivo che ebbe nel 2007 il governo Prodi nel progetto del gasdotto South Stream. Ciò che cambia agli occhi di Washington sono probabilmente le nuove forme che il binomio Roma-Mosca ha assunto, data l’intesa particolarmente stretta tra i due leader politici. La sostanza delle cose, invece, non sembra essere cambiata: si tratta di una partnership consolidata tra un paese estremamente dipendente da importazioni di gas e petrolio, e un altro che dalle risorse energetiche trae gran parte dei proventi della sua bilancia commerciale.
L’asse del gas e la dipendenza europea
La prima domanda che sorge spontanea alla lettura dei dispacci dei diplomatici americani è: questa relazione privilegiata ha rappresentato, rappresenta, o potrà rappresentare un minaccia per la sicurezza energetica europea?
Il timore di Washington è che, anche grazie al ruolo di spalla giocato dall’Italia la Russia sia in grado di tenere sotto costante ricatto politico l’Unione. Certamente Roma non è il cavallo di Troia del Cremlino all’interno dell’Europa e, nonostante gli intensi rapporti personali tra Berlusconi e Putin, le strategie italiane e di Eni obbediscono essenzialmente a un interesse nazionale o almeno a quello che viene percepito come tale. D’altro canto, che l’Europa dipenda da Mosca per i suoi approvvigionamenti di energia è un dato di fatto. La Russia ne è il principale produttore al mondo, ed è abbastanza normale che i paesi europei si riforniscano principalmente dal vicino gigante energetico.
Quella che viene presentata come una crescente dipendenza in effetti non lo è. Durante la Guerra Fredda i paesi europei importavano dall’Unione Sovietica, allora un nemico ufficiale, l’80% delle proprie forniture estere di gas. Oggi l’Ue ne importa dalla Russia, partner commerciale e strategico, il 38%, pari a circa il 6% di tutto il fabbisogno energetico dell’Unione. Inoltre, la relazione è biunivoca: se Mosca fornisce all’Ue il 38% delle sue importazioni totali, il mercato europeo del gas rappresenta ben il 65% dell’export russo. E per un paese in cui le vendite di idrocarburi hanno un ruolo così importante, questa forte dipendenza dalla domanda dell’Ue non può non rappresentare un elemento di vulnerabilità.
Le scelte dell’Italia
Negli Usa è diffusa l’idea che le scelte energetiche italiane siano dettate da un politica miope, eccessivamente appiattita sulla relazione privilegiata con Mosca. Washington stenta ancora a digerire l’iniziativa italo-russa per South Stream, che continua a vedere come parte di una strategia del Cremlino volta a frustrare sul nascere qualsiasi tentativo europeo di diversificazione delle fonti di gas (Nabuccoin primis) anziché come un modo per evitare un territorio di transito insidioso quale quello ucraino.
D’altro canto il Dipartimento di Stato non manca di descrivere Eni come macchina di potere al servizio, e al contempo protetta, dagli interessi politici italiani, che userebbero la carta energetica per rafforzarsi in ambito europeo. Queste critiche suonano un po’ strane, venendo da un paese che, negli ultimi decenni, ha fatto della protezione degli interessi dell’industria energetica nazionale uno dei capisaldi della propria politica estera. Ciò non significa però che siano del tutto infondate.
In parte è la duplice natura di Eni, che è quotata alla Borsa di Milano e a Wall Street e al contempo partecipata al 30% dal governo italiano, che ne rende l’immagine un po’ enigmatica ali occhi degli americani. Da un lato il management di Eni ha dimostrato grande intraprendenza, rendendo la compagnia un attore globale in settori d’avanguardia (si pensi alle pipeline off-shore), nel solco di una lunga tradizione che risale al fondatore Enrico Mattei. Dall’altro, il legame a doppio filo con l’establishment politico italiano ha alimentato le speculazioni sui vincoli strategico-commerciali della compagnia, minandone la capacità di presentarsi a livello internazionale come un attore effettivamente indipendente.
Questa situazione è tutt’altro che rara nel caso di una società operante in un settore strategico quale quello energetico. Altra cosa sarebbe invece se, insieme a obiettivi economici generali, se ne fossero perseguiti anche altri, più privati e personali, come lasciano intendere alcuni documenti pubblicati da Wikileaks. Questa commistione, che non può che essere deleteria per la promozione dell’interesse nazionale, va sempre accuratamente evitata.

Nicolò Sartori è assistente alla ricerca dell’Istituto Affari Internazionali.

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