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Un anno in chiaroscuro

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Che bilancio per Bolsonaro?

Jair Bolsonaro ha festeggiato da poco il primo anno da presidente del Brasile e può tirare le prime somme e fare i primi bilanci della sua esperienza governativa. Partita con grandi ambizioni riformatrici, l’agenda liberista, conservatrice e securitaria dell’ex capitano dell’esercito brasiliano si è scontrata con la somma degli ostacoli che contraddistingue la politica verdeoro.
Bolsonaro, che nella sua lunga esperienza da deputato ha avuta scarse capacità di mediatore e legislatore, ha dovuto parallelamente mediare le istanze del suo Partito Social-Liberale (presto superato dalla costituenda Alleanza per il Brasile) con la trentina di formazioni presenti in Parlamento e con il complesso di interessi che manovra fuori dai palazzi. Militari, latifondisti agrari, finanzieri, chiese evangeliche e magistratura hanno rappresentato i principali gruppi di pressione favorevoli all’elezione di Bolsonaro e hanno influenzato ampiamente sul processo legislativo.
Alcune istanze sono state mediate con nomine strategiche: Sergio Moro, il Pm di ferro del processo “Lava Jato”, ha ottenuto un superministero che ha unito alla Giustizia importanti deleghe securitarie; Ricardo Salles e  Marcelo Xavier da Silva, paladini dell’agrobusiness, sono stati nominati rispettivamente al ministero dell’Ambiente e alla Funai, l’ente per la protezione degli indigeni dalle istanze dei fazendeiros (notevolmente dimidiato nelle sue funzioni). Ma a livello complessivo Bolsonaro ha trovato grandi difficoltà nel trovare un punto di convergenza tra istanze tanto variegate ed eterogenee.
Il risultato è stato un processo legislativo confusionario e farraginoso, in cui la tabella di marcia non è stata sempre rispettata a dovere e in cui molte promesse si sono rivelate irrealistiche: ad esempio, fallace è risultato l’obiettivo di Bolsonaro e del ministro dell’Economia Paulo Guedes di procedere a una terapia choc di privatizzazioni di industrie pubbliche, tagli alla spesa sociale e riforma fiscale. Ciononostante, la decisione di non seguire la geopolitica “ideologica” filo-atlantica e di partire lancia in resta in un conflitto politico con la Cina hanno preservato i legami e il commercio col primo partner di Brasilia, garantendo assieme ad alcune misure di semplificazione fiscale un ritorno alla crescita economica (+0,6%) che nel 2020 si prevede destinato a irrobustirsi (+2%).

Sul piano securitario Bolsonaro ha rivendicato una maggiore sicurezza per il Paese dopo la sua ascesa alla presidenza, concentrandosi sul numero di omicidi. Nonostante esso continui a rimanere preoccupante, nel 2019 si è ridimensionato del 22%, da circa 28mila casi a 21mila. Tale dato, tuttavia, asseconda un trend già in atto nel 2018, come sottolinea Latin America Reports, e va letto in parallelo al contemporaneo proseguimento di deplorevoli casi di attacchi a personalità sensibili come leader indigeni e attivisti per i diritti dei popoli primigeni del Brasile. Casi come l’esplosione degli omicidi ad opera della polizia nella metropoli di Rio de Janeiro hanno poi suscitato sconcerto circa l’agenda securitaria del governo. Incentrata su una riforma per la libera circolazione delle armi tanto annacquata in parlamento da risultare ininfluente sui dati.

Il maggior problema politico, mediatico e d’immagine con cui Bolsonaro si è dovuto concentrare è stato il caso degli incendi amazzonici della scorsa estate. Cavalcato indubbiamente dalla stampa mondiale con eccessiva leggerezza ma su cui il presidente ha dimostrato scarso acume. Non riuscendo a mascherare il suo, politicamente indispensabile, approccio favorevole a un maggior sfruttamento economico dell’Amazzonia anche nel momento di maggior intensità della crisi. Bolsonaro si è generalmente dimostrato un leader debole nei momenti di difficoltà: il nuovo caso che rischia di inguaiarlo è rappresentato dalle accuse di corruzione e di rapporti ambigui con diverse gang di Rio che sta coinvolgendo il figlio Flavio. Passato dal ruolo di “ministro degli Esteri ombra” e improbabile stratega di un nuovo arsenale nucleare per il Brasile a quello di zavorra per il padre che lotta quotidianamente con sondaggi altalenanti.

Il bilancio è in chiaroscuro, a conti fatti, perché il trend pare avviato. Bolsonaro potrà in materia economica, politica e securitaria, imporre un’agenda composta di importanti riforme fino al 2022, ma oramai la sua immagine di dinamico leader di rottura col passato e con la vecchia politica brasiliana, fatta di interessi ambigui e fasi prolungate di immobilismo, si è dissolta. Lo standing internazionale di predecessori come Lula, poi, è un ricordo lontano. Tuttavia, specie dopo aver varato la sua nuova formazione politica, Bolsonaro è destinato a non uscire affatto fuori dai giochi. Barcamenandosi tra dati economici discreti e successi mediatici, prima ancora che reali, in materia di sicurezza, Bolsonaro può restare al centro dell’attenzione mentre l’opposizione di sinistra brancola nel buio, incapace di smarcarsi dalla dipendenza da Lula. Sarà proprio questa relativa assenza di rivali il vero punto forte del Presidente nei mesi a venire.

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