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Documento politico su Mediterraneo e altro

 

VADEMECUM

riflessioni su Mediterraneo e dintorni

e ancor prima molto più vicino a noi

 

 

 

Sorpasso neuronico è un documento politico che ho stilato nel 2008, nel quale sintetizzo strategia, mentalità e metodologia da tenere – in stile corsaro – per le azioni da compiere e per gli obiettivi da raggiungere.

Quel documento, tuttora scaricabile in formato pdf sulla colonna di sinistra della pagina principale del quotidiano online che curo personalmente, www.noreporter.org , è attualissimo e tutto sommato esauriente.

Questo che avete tra le mani non è che una sorta di ciò che un tempo si sarebbe chiamato “compendio di aggiornamento”. La necessità di scriverlo mi è venuta perché ho scorto talune prese di posizioni, anche inconciliabili tra loro, davvero sintomatiche che mi hanno rafforzato nella convinzione di quanto rara sia la capacità di analisi e prima ancora della stessa capacità, di quanto scarsa sia la conoscenza oggettiva di meccaniche e fenomeni. Non solo: ho avuto la comprova di quanto esigua sia la “polarizzazione” o la “centralità” sulla quale qualsiasi analisi deve convergere a prescindere dal grado di approssimativa correttezza che la caratterizza.

Perché non si può agire bene – né si può evitare di farsi risucchiare in suggestioni fuorvianti e suicide – se non si conoscono in modo sensato e abbastanza preciso l’ambito, il tempo, i rapporti di forza, le gerarchie, con cui ci si confronta.

Soprattutto, nulla si può ottenere, nemmeno avendo una strategia e una metodologia vincenti, se non si sa perché ci si batte e qual è la propria specificità politica ed esistenziale.

Una specificità che non può continuare ad essere relegata al tribalismo e alla pura e semplice comunità antropologica che, per sua natura e suo limite, è sensitiva e sentimentale.

 

 

 

PRENDIAMO SPUNTO DAGLI EVENTI

 

Le cartine di tornasole: Fini-Berlusconi e il Mediterraneo

 

Come cartine di tornasole che hanno messo a nudo le carenze nell’uno o nell’altro campo (quello dell’analisi e quello della coscienza di sé) e molto spesso in entrambi, sono sopraggiunte le due questioni più rumorose degli ultimi mesi: la faida Fini-Berlusconi con codazzo di scontro tra giudici e parlamento e la rivoluzione nel Sud Mediterraneo, che ha interessato anche l’Albania.

A prescindere dalla superficialità e dal semplicismo con cui ambo gli argomenti sono stati trattati, ciò che maggiormente spicca è la costante trasformazione dell’oggettivo in soggettivo, con le puntuali e conseguenti autorappresentazioni di una realtà irreale.

Che vanno, nel caso di Fini-Berlusconi, da attribuzioni al signorino della scrofa di recuperi di valori morali e ideali a lui totalmente estranei e antipodici, a ipotesi di aperture di spazi laddove di chiusure annunciate e proclamate invece si tratta. Questo per i neo-finiani i quali, è bene dirlo, spesso hanno accompagnato il loro entusiasmo oggettivamente infondato con una pulsione psicologica e ideologica di dissociazione e di dissoluzione che serpeggia da tempo e che si manifesta nel come si era “fascisti diversi”, ovviamente politicamente quasi corretti, e di “com’era in fondo sbiadita la mia nera camicia”. Percorsi da psicanalista da quattro soldi, ma percorsi che in ogni caso comprovano la pervicace attitudine a trasporre i propri desii e le proprie sulla realtà fino a leggerla capovolta con disarmante disinvoltura.

Chi invece ha sostenuto Berlusconi, ovviamente con molti più dati oggettivi a conforto, spesso si è spinto a sua volta a travisare la realtà.

La congiura oligarchica contro il premier, la confluenza di alcuni interessi anglo-americani (Murdoch, la City, la lobby del pipeline Nabucco) contro di lui, hanno spinto alcuni a vagheggiare di una sorta di terzaforzismo berlusconiano fino a farne quasi un anti-atlantista.

Non molto meglio sono andate le autorappresentazioni delle sommosse mediterranee e dei conseguenti rovesciamenti dei regimi locali. Alcuni vi hanno visto una sorprendente autonomia rivoluzionaria e hanno ripreso a sognare di antagonismi anti-imperialistici, ignorando le prese di posizione angloamericane, sempre favorevoli ai rivoltosi, oppure minimizzandone il valore: magari provando a convincersi che si sia trattato di tentativi di riacciuffare dei cavalli imbizzarriti, fino a scartare, volutamente, come si trattasse di intossicazioni, tutti gli indizi e le prove che mostrano invece come il “partito atlantico” fosse tentato da questi cambiamenti già da qualche anno.

Chi, forse con approssimazione meno infelice, ha posto invece l’accento sugli orientamenti più recenti di Washington, ha generalmente imbarbarito la sua analisi (o la sua predisposizione emotiva) liquidando il fenomeno in corso come un complotto e come una guerra all’Europa. Due elementi che ci stanno tutti e che sono importanti, forse prevalenti, ma di certo non sufficienti a spiegare l’accaduto.

 

Preconcetti interpretativi

 

Per spiegarci, sempre con approssimazione, l’accaduto, per comprendere cosa potrà succedere e, soprattutto, per non fuorviarci dietro ipotesi illusorie – quali che esse siano e quale che sia il grado di condivisibilità di certi sogni che spesso, se guardati alla lente del buon senso, sono incubi – dobbiamo mettere i puntini sulle i di alcuni pre-concetti interpretativi che nascono da schemi vecchi, falsati in partenza, ingannevoli già un tempo, oggi del tutto falsi e fuorvianti.

Parliamo di Potere, poteri forti, complotti, equilibri tra potenze, “scontri di civiltà”, crisi economiche, catastrofismi, insurrezionalismi, manipolazioni; e della stessa natura e cultura della potenza comunque egemone, gli Stati Uniti.

 

 

 

POTERI REALI E INTERESSI NAZIONALI

 

Stati e famiglie

 

Ho avuto modo di argomentare a più riprese, dunque mi asterrò dal circostanziarlo ulteriormente, come il potere trans-nazionale abbia svuotato le sovranità nazionali trasformando gli Stati in istituzioni di fisco e polizia che per tutto il resto sono sottomessi ai diktat di banche e alta finanza e, in subordine, alla tecnostruttura.

Esistono, ovviamente, degli Stati che hanno un peso diverso rispetto agli altri e che sviluppano politiche di potenza. Questi ibridi nazional-transnazionalistici sono in trasformazione continua ma conferiscono l’ossatura militare alla politica di potenza.

Quelli emergenti del Terzo Mondo (innanzitutto Cina e India) sono ancora caratterizzati da toni nazionalistici che altrove si perdono dietro semplici retoriche patriottarde.

Se si esclude Israele che ha una vocazione esclusivista fondata sulla concezione di una propria superiorità religiosa, culturale ed etnica che ritiene inconciliabile con chiunque altro, la corsa al multipolarismo non è propriamente una riproposizione di settecenteschi ed ottocenteschi concerti tra potenze diversamente caratterizzate, bensì una ridistribuzione politicamente asimmetrica ma geograficamente – e sottolineo geograficamente – simmetrica di equilibri.

Dietro le armate e le diplomazie stanno i gruppi finanziari e le poche famiglie che posseggono letteralmente una buona metà del pianeta.

Esistono alcune famiglie che hanno più dipendenti di alcuni Stati europei. L’oligopolio oligarchico, se non parte di lì e non si esaurisce lì, vi fa i conti con assoluta priorità e di lì prende l’essenziale delle sue direzioni.

Vuol dire questo che poche famiglie sono in grado di decidere tutto quello che accade?

La risposta corretta è sì e no.

No, nel senso che chiunque sia chiamato dalla sua posizione a gestire un potere sugli uomini e sui beni, è chiamato a fare i conti con realismo, ergo non può fare scelte che non siano eseguibili, che non siano realistiche e che non rispondano, almeno all’apparenza immediata, agli stati d’animo dei gestiti. Dunque si tratta generalmente di scelte che dipendono non solo dai disgeni e dagli aumori dei vertici ma anche dall’interpretazione, da parte dei vertici, dei fenomeni e dei sentimenti delle basi.

Sì, nel senso che i vertici hanno gli strumenti per conoscere in anticipo le mutazioni fisiche (natalità, clima, produzione) e soprattutto per indirizzarle per tempo. E che, qualora fossero colti di sorpresa da una valutazione errata o da un’alquanto improbabile variante ad una strategia condivisa (la cosidetta legge dell’eterotelia) hanno i mezzi e sono nella posizione giusta per recuperare il controllo in tempi brevissimi.

Un esempio eloquente ce lo fornisce l’Iran. Nel 1979 l’occidente sposò immediatamente la causa anti-Scià. I francesi però furono gabbati subito da Khomenini; non altrettanto si può sostenere per Usa e Israele che mantennero una certa presa, tuttavia nel primo periodo anch’essi rischiarono di perdere il controllo. In pochi anni però la normalizzazione sostanziale (la verbosità commediante non conta) fu ristabilita.

Non mi riferisco soltanto ai commerci di armi e petrolio che intercorrono tra i nemici dichiarati e alla cooperazione anti-araba tra Usa, Israele e Iran che ha caratterizzato questo trentennio, ma alla realpolitik di Teheran che non fa, sia chiaro, dell’Iran islamista un vassallo o un servo dell’occidente ma un soggetto complementare che coniuga perfettamente le proprie ambizioni regionali nella commedia mediatica rispettando comunque gli equilibri strategici fondamentali che non si risparmia dal sostenere e persino dall’alimentare se è il caso. Il che non lo pone comunque al riparo da rischi perché, come vedremo e come già da tempo dovrebbe essere chiaro a tutti, ai vertici decisionali non sta una mentalità reazionaria che si accontenta degli equilibri consolidati ma una mentalità progressista e sovvertitrice che disfa in continuazione le trame che sembravano definite e immutabili.

 

Una realtà in movimento e la sua direzione

 

E’ quindi in atto un continuo movimento. In poco più di trent’anni, del resto, tutta le geografia politica del pianeta è andata mutando.

Ma com’è accaduto?

Per la caduta del Muro – e dell’impero sovietico – vige la stessa chiave d’interpretazione che suggerivo poc’anzi. E’ indubbiamente il frutto di dinamiche interne ma lo è anche di manovre dall’alto e di squilibri intervenuti nei rapporti di forza. Senza Kohl e Kissinger con tutto quello che misero in piedi, soprattutto in chiave di finanza e diplomazia, senza il loro sostegno a Woytila e senza il progetto dello Scudo stellare di Reagan, ma anche senza l’ingolfamento sovietico in Afghanistan, il Muro forse sarebbe ancora là. Ma sarebbe comunque fragile. Se non fosse stato intimamente fragile, ovvero in mancanza degli errori di conduzione e delle carenze strutturali e spirituali del comunismo, senza la disillusione delle sue nomenklature, forse anche dopo il cambiamento dello scenario, al suo posto non sarebbe sopravvenuto il capitalismo democratico.

In ogni caso dobbiamo concludere che una rivoluzione con forti motivazioni interne è stata preparata, accompagnata per mano e indirizzata dal di fuori, dai piani alti.

Il che in qualche modo si ripete oggi nel Sud Mediterraneo.

Chi abbia letto frettolosamente, o per puro auspicio, quella rivoluzione come qualcosa di esclusivamente spontaneo, chi interpreti questa rivoluzione nel medesimo modo, chi s’illuda della capacità mobilizzatrice e liberatoria di internet e della “ripresa della storia” in senso libertario, vive in una dimensione irreale.

Basti dare un’occhiata alle leggi su libertà di pensiero e parola, sui costumi, sui consumi, per rendersi conto che il mondo “libero” e “spontaneo” che si è andato costituendo subisce una legislazione sovietica sempre più asfissiante nella nostra quotidianità.

Basti pensare a chi è proprietario degli “strumenti di comunicazione democratica e spontanea” tipo google e facebook (ossia Cia, Nsa e Fbi) per sorridere di fronte a queste suggestioni.

Bisogna davvero essere fascisti, ovvero ingenui e buoni come lo sono solo i fascisti, per credere nella democrazia!

E bisogna davvero essere fascisti, ovvero ingenui e buoni come lo sono solo i fascisti, per sottovalutare i “complotti” o irriderli.

Ho spiegato in Nuovo ordine mondiale tra imperialismo e Impero edito per la Berbarossa nel 2002, nei capitoli “Le classi dirigenti” e “Complotto e potere” i limiti della teoria complottistica ma, altresì, la necessità per la quale in democrazia, che è un sistema per sua natura psicotico e patologico, si eserciti una schizofrenia tra il reale e l’apparente.

Chi gestisce il potere reale non è chi lo rappresenta. Non già perché – come sostengono i complottisti – i veri potenti abbiano paura di essere “smascherati”, bensì perché l’intero apparato commediografico di quello che i marxisti definirebbero “l’involucro del sistema”, ha bisogno di autocelebrarsi nella farsa.

Potremmo dire, rovesciando quello che presumono i complottisti, che chi detiene e gestisce il potere accetta di non accedere a eccessiva notorietà per compiacere i portaborse e per non sconvolgere la routine.

Sostenere che non ci sia interventismo dirigista e strategico, un interventismo dirigista e strategico che ha le mani sciolte dai vincoli istituzionali, è ridicolo. Non sarà corretto definirlo complotto, proprio perché non si tratta di congiurare nell’ombra bensì di prendere decisioni assolutistiche esercitate alla luce del sole; ma rimuovere il fatto o anche trascuralo, solo in quanto non si condivide la denominazione che più frequentemente gli si attribuisce, sarebbe puro infantilismo.

 

 

 

I PRECONCETTI FUORVIANTI

 

Le illusioni catastrofistiche: presunta crisi del capitalismo e tramonto americano

 

Ancor più perplessi lasciano le diverse illusioni catastrofistiche.

Esse si basano sostanzialmente su due direttrici fondamentali: la presunta crisi del capitalismo e la perdita dell’unipolarità americana.

Partiamo dalla presunta crisi del capitalismo.

Essa è crisi di liquidità, di produttività: è crisi di sovranità e di socialità. E’ crisi di Stati e di popoli, non è per nulla crisi del capitalismo.

La grande crisi finanziaria che ci attanaglia da due anni, in cosa si è risolta se non nel potenziamento dei capitali e dei poteri delle famiglie oligarchiche e se non nella cessazione in occidente di ogni residua preprogativa di non-sudditanza?

I giocolieri delle finanze hanno fatto quello che non riuscì al protagonista del noto film di Mel Brooks del 1967 “Per favore non toccate le vecchiette”. La cui trama comica si basa sul progetto di un produttore di truffare le signorine stagionate rubando loro i risparmi mediante false promesse di guadagno. A tale scopo sceglie il peggior testo teatrale, il peggior regista e il peggior attore per mettere in scena una commedia a Broadway. Il progetto è che la rappresentazione, subissata di fischi, sia un fiasco. Intanto il produttore vende a ogni vecchietta il 99% delle azioni dell’opera teatrale e delle promesse d’incasso. Così, pensa, fatto il bottino, se ne andrà via ricco e felice. Se la commedia fosse un successo, non potendo versare il dovuto a ognuna delle vecchiette, il produttore finirebbe in galera. E’ quanto accadrà nel film perchè Springtime for Hitler and Germany diventa, involontariamente un capolavoro comico che fa cassetta.

Ma nella realtà il giochino invece è riuscito: la bolla finanziaria ha rovinato le vecchiette, ha vaporizzato i risparmi, ha paralizzato i crediti, ha inficiato la produzione, ha retrocesso le società occidentali.

Il che, continuo a sentir dire, comporterà una reazione per forza.

Quale di grazia? Viviamo in una società vecchia e viziata, senza sovranità politica, militare e finanziaria, afflitta da ideologie della resa e circondata da società demograficamente emergenti in cui è più interessante investire che da noi. Investire in un capitalismo trionfante.

 

In quanto alle oggettive difficoltà americane, nel prenderele in considerazione si dimenticano spesso alcuni aspetti non propriamente secondari.

Ovvero che gli Stati Uniti sono una potenza dall’ideologia messianica e mondialista, imbevuta da sempre dall’odio per la Vecchia Europa, che sono una talassocrazia (ovvero naturalmente disponibili e ben disposti alla dislocazione) che sono calvinisti, ergo disprezzano il popolo, che sono abituati a gestioni multipolari che esercitarono a lungo pefettamente in condominio con l’Urss e che provano ad esercitare oggi in condominio con la Cina.

E si dimentica infine che la multipolarità che si sta delineando attualmente, non soltanto si basa sul duopolio sino-americano che poi fa i conti con Brasile, Russia e India e sulle diverse disfunzioni rappresentate da UE e Israele, ma che, in perfetta rispondenza ad una conduzione multinazionale geo-economicamente diffusa e intrecciata, la multipolarità non è riconducibile in modo sempre lineare alle rispettive politiche di potenza.

Così – e ritorniamo ad alcune letture sommarie su Berlusconi – non è vero che gli Usa perseguono a tutti i costi il progetto Nabucco (che il premier di fatto osteggia) e l’ingresso della Turchia nella Ue (che Berlusconi caldeggia e che vede invece fortunatamente molto tiepida Ankara).

Gli Usa investono anche nel South Stream e nell’Itgi (l’alternativa al Nabucco che, anch’essa, a differenza del South Stream esclude la Russia dal progetto).

Ci sono interessi americani che coincidono con quelli difesi da Berlusconi ed altri che vi contrastano. Sono soprattutto gli interessi inglesi che divergono da quelli del premier italiano; e la guerra contro di lui è mossa, innanzitutto dalle strutture italiane di antico servaggio che temono di essere scalzate, poi dalla City e infine da alcuni ambienti americani. Non tanto per le scelte (sul South Stream, rispondendo all’Eni, si era mosso anche Prodi) quanto per il fatto che Berlusconi, essendo economicamente incorruttibile e sufficientemente animato da manie di grandezza, è fastidioso per chi ragiona per format e per moduli intercambiabili.

 

Non c’è, insomma, nel mutamento in atto alcun rischio d’implosione del sistema mondiale, il quale sistema non è per nulla sulla difensiva: tutt’altro.

Non bisogna prendere lucciole per lanterne: tutto quel che si muove verso la rovina di società e Stato non è comprova di crisi di sistema, bensì di trasformazione e ristrutturazione di sistema. Una ristruttutrazione che, per spirito e per vocazione, va a discapito di civiltà e di libertà e, comunque, con rischi mortali soprattutto, se non esclusivamente, per l’Europa.

Con queste consapevolezze, rafforzate da alcuni approfondimenti tecnici e di metodo, dobbiamo rispondere non soltanto e non tanto agli interrogativi sul Mediterraneo ma a tutti gli interrogativi futuri.

 

 

 

GLI EQUIVOCI CHE FUORVIANO SUGLI STATI UNITI

 

La Casa Bianca attiva nel Sud Mediterraneo

 

Che l’azione nel Sud Mediterraneo sia stata condotta dalla Casa Bianca in modo assai simile a quello che fu messo in piedi nel 1974 ai danni di Grecia, Spagna e Portogallo, è palese.

Le dichiarazioni e le prese di posizione di Obama, in particolare per l’Egitto, da tutti ritenuto il principale interlocutore americano e israeliano nell’area (tra l’altro a torto perché Giordania e Marocco lo sono di più), sono state eloquenti.

Qualcuno ha teso a minimizzare o a leggerlo come se si trattasse di un trasformismo sotto l’incalzare degli eventi.

Peccato che Wikileaks contenga, tra le altre rivelazioni, quella per cui l’ambasciata americana del Cairo stava istruendo l’opposizione a Mubarak da tre anni. Peccato che le relazioni tra il secondo successore di Nasser e la Casa Bianca si siano raffreddate all’epoca dell’attacco all’Iraq.

Peccato che addirittura la stampa israeliana si sia interrogata a più riprese, e anch’essa coincidenzialmente da tre anni a questa parte, sull’opportunità di cambiare regime al Cairo.

Peccato ancora che Soros, che si definisce “ebreo antisionista” abbia rivendicato il sostegno alle sommosse democratiche del Sud Mediterraneo.

Peccato che gli americani, utilizzando il format ingannevole della personalizzazione dei fenomeni irrituali su delle occasionali comparse mediatiche, abbiano comunque rivendicato la rivoluzione da internet come operazione strategica gestita da un fantomatico ottuagenario statunitense bendetto dalla Cia, tal Gene Sharp.

Peccato che le prime dichiarazioni dell’Egitto post-mubaracchiano siano state “rispetteremo tutti i trattati internazionali”, il che si sposa benissimo con la straordinaria eccezionalità di questa rivolta panaraba, unica sommossa di piazza da sessant’anni in qua in cui non siano state bruciate bandiere americane o israeliane. Peccato che Israele ne abbia comunque approfittato per riaffacciarsi in armi sul Canale di Suez. Peccato che il primo leader politico ad essersi recato al Cairo sia il britannico Cameron; gesto assai significativo se si considera che gli inglesi erano stati scalzati del tutto dall’Egitto nasseriano fin dal 1952. E se si aggiunge, en passant, che le basi logistiche dello stragismo fondamentalista algerino del FIS ai danni della Francia si trovavano a Manchester si può essere un pochino preplessi.

Tutto questo è però di difficile assimilazione perché urta con una serie di equivoci interpretativi mai risolti.

E’ difficile, infatti, sostenere che le rivolte del Nord-Africa non siano state dettate comunque da fatti oggettivi, che non ci sia stato un fenomeno di contagio, che siano totalmente eterodirette o che i regimi abbattuti o sotto assedio, di Egitto, Libia, Algeria e Tunisia non fossero graditi in occidente.

E allora?

E allora smontiamoli uno ad uno gli equivoci interpretativi.

Partendo dall’ultimo, che è più politico e meno tecnico degli altri.

 

Gli Stati Uniti non perseguono la stabilità ma l’instabilità controllata

 

Abbiamo ereditato lo stereotipo della propaganda comunista sugli Usa, uno stereotipo arrangiato ad uso della propaganda sovietica del tempo, ma del tutto inesatto e irrealistico.

Gli Stati Uniti sono una potenza progressista, mercantile, talassocratica. Il loro scopo principale non è la stabilità delle zone controllate, semmai lo è un’instabilità graduale e sotto controllo.

Tutta le decolonizzazione che ha avviato il neo-colonialismo multinazionale e finanziario è stata accompagnata da una conclamata volontà sovversiva di ogni tessuto, di ogni autorità e di ogni tradizione. Tutta la storia americana ne è testimone. La retorica conservatrice è solo superficiale e ad uso puramente domestico.

Sicché i rischi d’instabilità di un nuovo corso post-autocratico in Nord-Africa non sono altro che un rischio programmato d’investimento.

Le motivazioni che ne animano la scelta strategica sono di vario genere ma convivono perfettamente. Nella ristrutturazione planetaria meglio è, per chi conduce il gioco, sviluppare un’area di neo-produzione avviata a un neo-consumismo, piuttosto che lasciar coltivare le tentazioni europee di ritorno alla produttività e di costituzione di una propria area d’influenza.

Agire per primi e da posizioni privilegiate significa, per gli americani, limitare le possibilità europee di ripresa e ridurre o quantomeno incanalare le cooperazioni eurafricane. Il che si sposa perfettamente con la programmata spartizione con la Cina del Continente Nero. Gli effetti della rivoluzione nord-africana sono eloquenti: nuova invasione dell’Europa da immigrati dal sud, freno delle cooperazioni avviate e, probabilmente, ristrutturazione locale con relativo cambio d’influenza.

Ecco che ad una cooperazione euro-araba, sempre sotto l’occhio vigile americano, rischia di subentrare un più gradito processo arabo in cooperazione con gli inglesi e gli americani a discapito francese ed italiano. I regimi autocratici abbattuti o minacciati sono, infatti, tutti quelli che rappresenta(va)no il compromesso tra interessi locali, influenze francesi ed italiane, interessi delle superpotenze e garanzia dei tessuti sociali organici arcaici. E, oltre a ciò, ecco che demograficamente e produttivisticamente l’Europa, e l’Europa sola, come effetto dello scacco mediterraneo rischia la mise à mort.

Il che si spiega anche con l’ideologia americana, sorta già nel XVII secolo, che si fonda sull’odio viscerale per l’Europa e con la continuazione delle guerre mondiali, intraprese dagli States dal 1917, tese alla soggiogazione e all’annientamento della nostra civiltà e del nostro continente.

 

Si obietterà che il cambio di equilibri mette in pericolo Israele.

Questo potrà anche accadere se i calcoli saranno stati sbagliati. L’eterotelia non consente di escluderlo, ma sinceramente ne dubito. Israele non ha alcun rivale militare che la possa minacciare seriamente: il suo probelma è interno (denatalità e imborghesimento) e si sposa all’ascesa demografica palestinese che, se non si risolve in una generazione, rischia di soffocarla. Un clima disteso non asseconderebbe un impegno radicale volto alla deportazione dei palestinesi; ciò è possibile solo se il clima ritorna rovente.

Un clima rovente che, beninteso, non sfoci in equilibri militari diversi da quelli attuali.

Ecco perché, malgrado le dichiarazioni di Soros, è difficile intravedere una profonda divergenza tra quelli come lui e l’intellighenzia israeliana, semmai c’è tra loro e l’opinione pubblica israeliana, il che è un po’ diverso.

La rivoluzione nel Sud Mediterraneo è quindi un’operazione americana attuata con il tacito assenso israeliano e con sollievo inglese?

Anche qui la risposta è sì e no. O meglio la risposta è sì con qualche precisazione, con sfumature e variabli.

 

 

 

 

AGENTI E AGITI

 

La Settimana Enigmistica

 

Che la situazione fosse – e permanga – esplosiva non ci piove. Non esistono rivoluzioni che si compiano in quadri idilliaci. Che le situazioni esplosive producano per forza le rivoluzioni è però inesatto. Sono i vuoti di potere e i sostegni che dal palazzo giungono agli insorti a trasformare le fronde in rivoluzioni.

Si noti che solo in Libia la risposta è stata quella di una guerra civile. Altrove l’esercito ha isolato il regime e ha traghettato il passaggio. Le oligarchie locali, in particolare quelle di frequentazione occidentale, hanno quindi pilotato gli eventi.

Che ciò sia avvenuto mediante lo strumento americano di facebook e d’internet, in grado di mobilitare “spontanemente” le masse, ci fa sorridere. In primis perché immaginiamo quale sarebbe il risultato di una convocazione via facebook di una manifestazione politicamente scorretta. Ma, soprattutto, perché sappiamo quante volte saltano i collegamenti internet e ci fa sghignazzre l’ipotesi che dei regimi assediati non li abbiano boicottati avendo le condizioni tecniche per farlo.

Le sommosse convocate “spontaneamente” si sono sicuramente propagate per contagio spontaneo e si sono manifestate in situazioni esplosive, ma ciò è stato permesso per l’intervento, in tal direzione, dei poteri reali.

Quindi si tratta di masse “agite” manovrate da “agenti”?

Ancora una volta la risposta è sì e no, ma molto più sì che no.

E qui affrontiamo un altro equivoco ricorrente, quello sugli “agenti” e sul loro utilizzo.

Fin dai tempi di Noi Terza Posizione, edizioni Settimo Sigillo, 2000, ho cercato di puntualizzare.

L’agente non è necessariamente un individuo a libro paga di un servizio segreto o di un organismo di controllo. C’è anche questo ma, solitamente, gli agenti, specie quelli più efficaci, sono semplicemente individui che compiono esattamente quel che vuole il potere, pensando in tutta onestà e in piena megalomania, di fare quel che desiderano essi stessi.

Il potere si esercita sulla conoscenza psicologica, anche maniacale, delle antropologie politiche.

Se è ritenuto opportuno, per smuovere, sia per sovvertire sia per consolidare, una situazione pregressa, di far intervenire atti terroristici o insurrezionalistici, non è necessario andare ad arruolare dei venduti, che oltretutto saranno prudenti (questi servono solo come spie): va facilitato il compito di quelli che intendono operare scriteriatamente. E’ esattamente quanto si propose di fare a suo tempo il Mossad con le Brigate Rosse, a quanto ci testimonia Franceschini.

Restando al paradigma brigatista, è plausibile sostenere che i referenti del Superclan che operavano da Parigi in congiunzione con tutti i servizi dell’est e dell’ovest, fossero agenti. Più difficile è definire come tali i vari Moretti, Casimirri, Balzerani; nei loro incontri irrituali con apparati di controllo hanno probabilmente nutrito la presunzione di condurre il gioco. Sono stati invece giocati nel modo più idiota ed elementare: è stato lasciato far loro quel che desideravano, ma ne sono stati orientati i passi e spesso gli stessi obiettivi e ne è stato forzato più volte il comportamento (in particolare durante il sequestro-Moro). Nella Settimana Enigmistica esiste il disegno a percorso obbligato. La redazione ha messo i numeri e i puntini, chi li unisce con vari tratti di matita ha l’illusione del disegnatore, ma il disegno c’era prima e lui non è che una matita in trance.

Il divario tecnico, esperenziale, conoscitivo e psicologico tra potere e autodidatti delle rivoluzioni è il medesimo. Che poi i Moretti e le Balzerani, capita l’antifona, uniti i puntini con il tratteggiamento del lapis, e infine sepolti vivi, si siano accordati per barattare la propria liberazione con versioni addomesticate del sequestro Moro e della gestione terroristica è un fatto che, come per due o tre esponenti dei Nar, avviene dopo, non prima.

Ma l’impianto è quello del disegno obbligato. Che non vale soltanto per le azioni armate. Chi ha facilitato l’introduzione di leggi liberticide in passato e chi sta oggi facilitando il varo della legge-Pacifici non necessariamente è pagato o ricattato; c’è caso che sia scriteriato e che faccia da sé, lasciato libero di agire coe il topo dal gatto proprio perché il disegno serve al palazzo.

 

Il ginepraio del Vicino Oriente

 

La situazione vicino-orientale è un po’ diversa essendovi comunque in corso il conflitto palestinese. Molti dei “duri e puri” sono consapevolmente legati a filo doppio agli apparati dominanti. Potremmo sciorinare il rosario delle appartenenze. Osama Bin Laden, socio d’affari della famiglia Bush, fu il referente della Cia, Al Qaeda (letteralmente “la base”, ovvero la Cia) è creatura di Langley. Bin Laden è sparito, probabilmente morto, nella seconda metà degli anni Novanta. Il suo ologramma, imputato di minacciare l’occidente e di scagliare aerei su New York, è una notevole invenzione mediatica.

Hamas fu notoriamente fondata dagli israeliani; nei Territori Occupati la sua principale fucina di attentatori suicidi riceve finanziamenti da banche inglesi e americane e quei finanziamenti miracolosamente non sono sequestrati dalle autorità israeliane. Il FIS algerino vuole imporre in Algeria, oltre all’arabo, la lingua inglese. Ha protezioni americane e soprattuto inglesi. Anche i Fratelli Musulmani hanno rapporti a dir poco ondivaghi con l’occidente anglofono. In quanto all’Iran abbiamo già detto. Dell’Arabia Saudita non serve parlare. Ma andiamo oltre. A prescindere dalle dichiarazioni di facciata, gli americani non hanno mai combattuto un regime islamista, semmai – come in Afghanistan – sono intervenuti in scontri clanici e tribali. Tuttavia hanno offerto l’alleanza al Pakistan piuttosto che all’India, hanno sostenuto la Bosnia e il Kosovo, fino a bombardare Belgrado. Le organizzazioni mafiose della droga del mondo islamico, Pkk e Uck, attive nei Balcani, lavorano a braccetto con gli apparati americani ed israeliani e sono sostenute dalle loro diplomazie.

Il che non significa che questi ultimi – che ufficialmente sbandierano lo spauracchio dello jihadismo – siano filo-islamici. Nasser, Arafat e Saddam, ovvero i principali campioni della causa araba, erano musulmani. Il fondamentalismo però è visto con un certo interesse perché contribuisce a sgretolare le cause nazionali e può portare, come in Iraq, a guerre di religione e di clan, utilissime laddove si vuol destabilizzare per imporre presenze strategiche legate a droga, armi e petrolio.

Questo, a sua volta, non vuol dire che i fondamentalisti siano agenti israelo/americani, così come non voleva dire che lo fossero a suo tempo i brigatisti.

Se vi sono, comunque, molti più agenti coscienti tra i fondamentalisti che tra i brigatisti, lo si deve alla differenza strategica e al diverso coinvolgimento di masse.

Tuttavia leaders fondamentalisti, anche di Hamas, muoiono come mosche, eliminati dai servizi israeliani ed occidentali che hanno spesso buon gioco, vista l’abitudine inveterata delle loro vittime di utilizzare auto con navigatori satellitari e telefonini che fanno da rilevatori per missili chirurgici.

Come saltarono i Feltrinelli e, in senso più figurato, i Lazagna, i Curcio, i Franceschini, così saltano molti fondamentalisti, basta che siano scomodi.

E quelli che si accordano, anche tacitamente, su convergenze oggettive, non necessariamente sono agenti nel senso letterale del termine.

 

 

 

IL SENSO DEL NUOVO CORSO VICINO-ORIENTALE

 

Washington, gli internazionalismi e il gioco d’anticipo su Ankara

 

Washington non teme, quindi, i fondamentalismi, li controlla ma li incoraggia. Li incoraggia ma li controlla. La miscela del fenomeno nel Sud Mediterraneo si compone al contempo di suggestioni fondamentaliste e di rivendicazioni democratiche. Il collante che accomuna i rivoltosi è l’internazionalismo e dunque l’ostilità verso il nazionalismo. Con annesso il desiderio di smobilitare i residui corpi sociali di stampo arcaico.

L’operazione si connette anche alla guerra valutaria in corso ovunque e alle difficoltà finanziarie dell’Europa del Sud. Ma sarebbe imperdonabile non mettere in conto il detonatore-Turchia.

Da un anno a questa parte Ankara ha intrapreso la politica definita “neo-ottomana” ribaltando completamente gli schemi preordinati. Ha rivisto la sua disponibilità a farsi da cavallo di Troia etnico, religioso e geo-energetico dell’Asia in Europa, per proporre un’alleanza strategica con l’Europa, ma in un quadro di potenza regionale in controsenso rispetto alle lobbies del Nabucco e alla dottrina Brzezinski che contrassegna la politica americana.

Per la questione curda i rapporti con Tel Aviv sono degenerati ed Ankara si pone come terzo polo islamico – oltre a Teheran e Riad – molto più duttile verso l’Europa che verso Usa e Israele.

Imporre nel Vicino Oriente un polo islamico arabo, internazionalista, sufficientemente animoso da permettere ad Israele di mobilitarsi e di procedere per violazioni, ma sufficientemente “illuminato” da poter cooperare con l’occidente, significa giocare d’anticipo rispetto ad Ankara e, soprattutto, orientare in senso Wasp l’interlocuzione privilegiata a nord-ovest. Gli Usa, potenza progressista e destabilizzatrice, giocano d’anticipo.

 

 

 

INTERPRETARE DOVUTAMENTE

 

Perché non esiste più un movimento anti-imperialista e qual è il progetto corsaro

 

La mancanza di riflessione sui dati esposti e il persistere di equivoci irrisolti possono condurre ad analisi strampalate, dettate da autosuggestioni.

Il fatto è che gli sconvolgimenti mediterranei sono innanzitutto volti a minacciare l’Europa e a favorire investimenti internazionali. Il resto viene giù di ricasco. Le immagini che verranno offerte in futuro saranno, appunto, immagini; quel che conta è la sostanza. In sostanza il primo obiettivo è l’Europa nel suo insieme, il secondo obiettivo è l’Europa mediterranea, quello particolarmente colpito infine è l’Italia.

Non è tanto importante definirlo per quello che ne conseguirà come reazione da parte nostra: ovvero niente.

E’ necessario però liberare la mente da auto-ipnosi determinate da interpretazioni eteree degli uomini e dei movimenti e da quadri storici che non esistono più.

In passato ci fu un vero e proprio movimento anti-imperialistico. Esso però aveva delle sue radici precise. Una radice culturale, ideale ed umana stava nei soggetti che lo hanno ispirato che erano, tutti, legati all’Asse e motivati da Roma, Berlino, Tokyo e, successivamente, da Buenos Aires.

Inoltre ci fu il sostegno strumentale ma temporaneo di Washington, Mosca e Pechino. Ma oggi che la geografia mondiale è cambiata e che tutti i movimenti indipendentisti riconosciuti dalle autorità internazionali (infatti i Karen non lo sono…) sono finiti con l’essere milizie della droga, utili a rafforzare la geopolitica del petrolio, oggi che non vi è in giro alcun fascismo e neppure quella macro-illusione che era rappresentata dal leninismo, è impossibile puntare su innovazioni rivoluzionarie di massa.

E’ per questo, oltre che per la metamorfosi tecno-economico-socio-politica dell’occidente intero, che non si può definire un progetto politico alternativo che non si basi su criteri tutt’altro che impazienti.

 

Come ho premesso, questo progetto è esposto su grandi linee in Sorpasso neuronico, tuttora scaricabile in formato pdf sulla colonna di sinistra della pagina principale del quotidiano online che curo personalmente, www.noreporter.org.

Come ho più volte avuto modo di spiegare, è un progetto “corsaro” che si fonda sul concetto della Tortuga e sul pragmatismo spregiudicato ma polarizzato, gerarchizzato e subordinato.

Verte al conseguimento di tre obiettivi:

  • creazione di autonomia

  • costituzione di lobby di popolo

  • formazione delle future élites

Il suo animo è trasversale, ma intorno ad un asse e orientato a una stella polare.

 

Per perseguire, in parte o in toto, questi obiettivi non si può essere distratti da impazienze apocalittiche, da affanni di cambiamento radicale e improvviso.

Per conseguirli non ci si deve più fare inchiodare alla necessità di “rappresentazione” che detta risibili e fallimentari ipotesi elettoralistiche o anche antagonistiche tout court.

Il che non significa che si debba disdegnare o ignorare l’apparato di amministrazione condominiale cui sono dedicati oggi i partiti e le istituzioni ma che ci si debba rapportare con armonica autonomia.

Non importa affatto esibirsi, bisogna muoversi bene.

E’ per questo, più che per ogni altra cosa, che bisogna ragionare con realismo e scartare ogni entusiasmo (o fobia, a seconda degli orientamenti individuali) dettato dalla commedia della realtà storico-politica.

Questo può essere utile per individuare le occasioni determinate dalla legge dell’eterotelia (le conseguenze diverse dai fini prestabiliti). Ma bisogna anche sapere, con assoluta pertinenza, che le conseguenze inattese non sfuggono mai di mano ai gestori di vertice più a lungo di un attimo e che, non sulla costituzione d’improvvisi scenari rivoluzionari, bensì sull’individuazione, sull’occupazione e sulla sacralizzazione degli spazi è opportuno puntare.

Bisogna rispondere al grande Vuoto che avanza e che centrifuga e alle sue illusioni ottiche e sentimentali, con la Plenitudo che non si svuota e che non soffre delle suggestioni emotive da Cnn.

La Plenitudo non è vacua e resiste al Vuoto, vi resiste nello spazio e nel tempo.

 

 

 

CECITA’

 

I post-fascisti: privi di conoscenza e di coscienza di sé

 

E qui veniamo al nodo centrale. Che non è la dis-interpretazione del reale, che pure è un difetto diffuso, ma è la non coscienza di sé e di quel che differenzia dall’indifferenziato.

E qui più che le diatribe sul Mediterraneo assume valor paradigmatico il feuilleton Fini-Berlusconi.

E, prima ancora, va messa a fuoco la vampirizazione subita dalla maggior parte dei soggetti politici, del tutto risucchiati dall’amministrazione in quanto tale, oppure dalla prigionia virtuale dei blog, dei forum: modi diversi per essere comunque quasi sempre assenti da se stessi e dalla realtà.

Un’assenza da se stessi ed una vampirizzazione quotidiana che inducono, irrimediabilmente, ad azzuffarsi stupidamente come i polli di Renzo, senza rendersi conto di nulla, men che meno che si è.

Sicché esserci o non esserci, ovunque si stia, diventa irrilevante.

Eppure viviamo un momento particolare in cui, per ragioni diverse, la richiesta generale va nella direzione populista e autoritaria. Ergo, nella giusta direzione.

Ma cosa si è offerto a questa richiesta se non la sua rappresentazione – formale ma non fattuale – nelle amministrazioni?

Il grande revival del fascismo, così sentito da milioni e milioni di persone, ha paradossalmente trovato come interpreti quasi esclusivamente dei fascisti per sentimento, dei soggetti umani, a digiuno di cultura e lontani dall’Idea nel senso letterale ed ellenico del termine.

In cosa esprimono la loro identità questi soggetti? In una solidarietà antropologica anche spiccata ed in una forte strutturazione clanica che sa più che altro di comitiva o di compagnia di merenda.

Per il resto si differenziano per esclusione, tra l’altro storicizzata, dal comunismo e dal materialismo fino a prendere in prestito principi clericali o luoghi comuni democratici.

 

Casi embelmatici di disancoramento

 

Emblematico è il caso sull’accoppiata immigrazione e nazionalità.

Al rigetto dell’immigrazione massiccia che giunge imperioso dal profondo del popolo, chi dovrebbe rappresentare una cultura di origine nazionalfascista ha proposto calmieri numerici e temporali.

Tutt’al più ha evitato di schierarsi apertamente riguardo ai toni del rigetto che, nel villaggio globale, hanno ripreso quelli Wasp, a noi alieni.

Chi non ha colpevolmente fischiettato, ha fatto molto peggio: ha abbracciato la logica della globalizzazione etnicida, culturicida e liberticida con tutti i suoi toni buonisti, ai quali ha, eventualmente, contrapposto una moderazione esclusivamente ispirata dal buon senso. La totale assenza di un ancoraggio e di una consapevolezza è apparsa disarmante. Non c’è da stupirsi se alla fine, proprio da un rautiano alla corte di Fini, Fabio Granata, è stata presentata una proposta sul codice di nazionalità che avrebbe imbarazzato lo stesso Morgenthau, colui che a suo tempo designò il progetto di sterminio intelligente e programmato del popolo tedesco.

 

Si parlava di Plenitudo. La quale è ancoraggio ed è consapevolezza. Di fronte allo sterminazionismo che riduce in polvere tutte le culture, tutti i popoli e tutte le etnie, si deve esprimere una concezione che difenda tutte le etnie, tutte le culture e tutti i popoli. All’indifferenziazione bisogna opporre la differenza. Di fronte alla piallatura bisogna erigere la qualità. Al buonismo e ai luoghi comuni di un occidente malato si deve rispondere con colta barbarie. All’uguaglianza, che significa starnazzare senza criterio, va contrapposta la gerarchia: di valori, uomini e preferenze. Non è difficile, ma non si devono avere né devianze psicotiche (come quelle del razzismo Wasp) né complessi d’inferiorità o di colpa.

Bisogna, per ciò, avere però conoscenza storica e chiarezza d’idee.

Se ci si rifà ad una corrente storico-ideale che ha propugnato l’autodeterminazione dei popoli e che l’ha concepita nella loro difesa identitaria, non si può poi stravolgere l’impianto e sostenere la pialla anti-identitaria.

Se c’è pavore di confusione con il razzismo sociobiologico Wasp, delle due l’una: o chi lo nutre è un individuo debole oppure è ignorante. O, più spesso, è l’uno e l’altro.

Non sa che l’Asse ha difeso i popoli colonizzati. Non sa che la gioventù tedesca si è nutrita dell’epopea pellerossa. Non sa che nelle scuole germaniche si trattava la problematica delle minoranze afroamericane. Non ha letto le momorie di Jesse Owens che, oltre ad aver pubblicato una sua foto con Hitler, ha scritto “A Berlino, negli autobus, nelle strade, sono stato trattato come un uomo, non come negli Usa dove sono sempre stato considerato un negro”.

La dignità di un individuo dipende dall’individuo stesso; non può, cioè, essere rifiutata a priori ma nemmeno essere imposta a priori per la sua condizione sociale, per la sua appartenenza etnica, per i suoi comportamenti sessuali.

Quel che rende degna e fiera una persona, oltre beninteso al suo modo di essere e di comportarsi, è la sua identità, è la sua appartenenza.

Sicché non esiste “l’immigrato” che non è, a priori, un delinquente, un questuante o un gran lavoratore ma che può essere delinquente, questuante o gran lavoratore.

E, soprattutto, egli non è un meno che tende a divenire un più: non è qualcuno che deve abbandonare la sua cultura, la sua lingua, le sue tradizioni, la sua comunità di destino e i suoi padri, per essere “promosso” di condizione con un passaporto nord-occidentale.

La sua specificità, la sua continuità, va difesa e onorata, così come va difesa e onorata la nostra. Bisogna difendere e riaffermare la Nazione e le Nazioni e non imporre il frullato informe e sradicato delle plebi americanizzate di Harlem mistovariate ed ideovariate, che hanno rotto il filo con i padri.

All’immigrazione che è uno egli effetti del neo-colonialismo delle multinazionali va, sì, offerta una risposta politica ed economica articolata e armonica, ma questa consapevolezza unita alla percezione dell’impossibilità immediata d’intervento non deve dettare, come spesso fa, complessi di colpa del tutto fuori luogo e paralizzanti che, in nome di un’ideologia internazionalista e anti-forma che anima i peggiori impulsi di un femminismo strisciante dell’anima e del pensiero, producono disastri per tutti; anche per quelli verso cui si prova un disordinato quanto impurp impulso materno.

 

 

L’esempio è davvero emblematico ma non è certamente l’unico. La damnatio memoriae non richiesta da nessuno se non da qualche minoranza, ma così coltivata dai post-fascisti, è altrettanto eloquente. L’ignoranza storica di questi signori è disarmante, sia quella riguardante i fatti, gli uomini e le opere della rivoluzioni nazionali, sia quelle sui crimini dei vincitori, gente di Mafia, di Crimine Organizzato, falsa e malvagia.

E il discrimine tra berlusconiani e finiani è ancor più eloquente.

Berlusconi, accusato di essere autoritario, irrituale e politicamente scorretto, ha trovato, tra i suoi paladini e tra i suoi avversari di provenienza post-fascista, davvero dei miseri interpreti.

Anziché difenderlo per quel che ha di autoritario, d’irrituale e di politicamente scorretto, i suoi sostenitori ax AN lo hanno difeso malgrado ciò, per ragioni di politica spicciola.

Anziché accusarlo per l’esibizionismo di un’autorità non sufficientemente manifesta, i suoi denigratori ex AN lo hanno accusato per le sue ececzionalità dittatoriali e politicamente scorrette.

Inutile dire che costoro, gli uni come gli altri, hanno dimostrato di non avere alcuna conoscenza storica né filosofica di democrazia e di dittatura e che, qualsiasi campo abbiano scelto, lo hanno fatto nel modo più sbagliato.

Se questi sono gli eredi del fascismo cosa ci possiamo attendere dall’Europa?

Senza consapevolezza e identità nessuno ha futuro. E, oltretutto, senza di esse si spiega anche come si possa interpetare così male quello che accade ogni giorno.

Bisogna correre ai ripari, e molto in fretta.

 

 

 

PLENITUDO

 

Sentimento del mondo e Idea del mondo

 

Ad un Sentimento del mondo che magari in modo scomposto accomuna gente che ha frequentato luoghi, simboli e parole d’ordine, non si accompagna, evidentemente un’Idea del mondo. Ergo, senza ancoraggi impersonali, oggettivi e prioritari, questi vagabondi si esprimono per suggestioni soggettive e, pertanto, insite esclusivamente nella mistica e nell’ideologia dominante.

E’ così che assistiamo ai vari autodafé da parte di gente che vuole continuare ad essere considerata camerata, pur essendo divenuta zingara salottiera. E’ così che sfilano i “com’era sbiadita la mia nera camicia” o il “com’ero diverso io dall’odiato squadrista”.

Roba da psichiatra, di una rilevanza politica pari a zero, ma significativa.

Questo processo di dis-integrazione narcisistica è favorito, peraltro, dalla caduta delle barriere e da un trasversalismo mal concepito. Perché trasversalità non significa mettersi per traverso e, soprattutto, non significa sdraiarsi. Trasversalità, come insegna lo stesso fascismo, che è trasversale per vocazione, è unione di verghe ma non è affatto l’indifferenziazione delle verghe, è il loro collegamento intorno ad un asse centrale.

Avercelo quest’asse centrale!

Non è impossibile. Partendo dalla propria oggetivazione e dalla guerra al proprio io e, contemporaneamente, dalla consapevolezza che si raggiunge seguendo il corso di rivoli ordinati.

Uno tra tutti è la Scuola di Mistica Fascista.

Con la consapevolezza che ogni ordinamento vero possiede una mistica. Che esistono una mistica liberale, una mistica democratica ed una mistica comunista le quali, insieme, forniscono poi la mistica della globalizzazione.

La mistica fascista, autocentrata, orientata in alto, consapevole di quanto è oggettivo, fondata sull’impersonalità, sulla sottomissione dell’individuo alla Patria (ma che difende le libertà esistenziali dell’individuo dalle pulsioni totalizzanti della società), sulla religione del dovere e sulla coscienza di appartenere ad una Civiltà e a dei Lari, esprime – e quindi aiuta a riconoscere e a determinare – la differenza dal caleidoscopio ingannevole del grigio dominante. In tutto e per tutto.

Che la trasversalità e la curiosità, aprendo al confronto, abbiano concesso ai nostri interlocutori più intelligenti di scoprire che molti di noi non corrispondono agli stereotipi (ovverosia ai tipi rigidi e ripetitivi) è cosa buona, che però si confondano gli stereotipi con gli archetipi (ovverosia i modelli originari, quelli che formano) non è cosa giusta.

Gli stereotipi sono falsi, è chiaro: ma chi non corrisponde agli archetipi è falso a sua volta.

Chi intenda la trasversalità come un farsi riconoscere dagli altri fino a indifferenziarsi nei relativismi soggettivi apparenti che rispondono, tutti, alla mistica democratica o liberal/demo/comunista, ha voglia di studiare metodi e strategie per il futuro: non è da Tortuga né da nave corsara: può imbarcarsi in questa o quella marina come mozzo, se ce lo vogliono.

Chi si centra, consapevolmente, sugli archetipi da cui proviene, può affrontare qualunque sfida; perché non sarà mai crusca ma sempre lievito.

 

Recuperare il criterio

 

Ecco, quindi, che non solo l’analisi, per essere efficace, necessita di recuperare il Criterium (dal greco crino, capacità di discernere; discernimento, qualcosa che non può non provenirci, quindi, da un modello, meglio ancora da una stella polare) ma questo è fondamentale per la propria identità. Perché l’analisi è sì frutto di orientamento ma l’identità che si ricconosce rimanda ad orior (sorgere, alzarsi, essere origine: quindi esistere come espressione dell’essere).

Il criterio analitico aiuta a non essere in errore, il criterio assoluto insegna invece a leggere in se stessi oltre la superficie e, quindi, a non essere errore.

Sicché saper distinguere e saper operare non sono cosa diversa dal sapersi distinguere.

 

Comprendere quel che accade nel Mediterraneo non è possibile se non si è compreso tutto quanto è accaduto prima: se non si sono colti l’ideologia, la mistica, il progetto, la meccanica e la dinamica in cui le attuali “rivoluzioni” della Quarta Sponda s’inseriscono. Se non si sono riconosciute, filtrate e infine scartate, le interpretazioni storico-politiche fuorvianti che provengono da altre culture e che rispondono ad altre mistiche.

 

Il tutto, benché indispensabile, non avrebbe comunque alcun valore se non sapessimo poi cosa farci e soprattutto se, pur essendo coinvolti ed immersi nei fenomeni che ci accadono intorno, non avessimo la percezione della nostra irriducibile specificità.

Tutto ciò, davvero tutto ciò, senza alcuna esclusione, forma un sapere oggettivante che non può essere sostituito da nessun’opinione.


E ora mettetelo democraticamente ai voti in qualche forum o quotatelo con “I like”

 

 

Gabriele Adinolfi

ga@gabrieleadinolfi.it

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