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Difficoltà in lista dopo la sfida al Dollaro

In Cina lo spettro del debito pubblico non spaventa nessuno. Eppure Pechino deve fare i conti con un rapporto tra debito e Pil altissimo: il 249,5% secondo fonti governative, addirittura il 260% per altri istituti di ricerca. Considerando che il Dragone può contare su un pil (a parità di potere d’acquisto), in crescita, di circa 29 miliardi di dollari, possiamo renderci conto di quanto sia profondo il buco incastonato nel bilancio di questo Paese. Il rischio più grande è che la crescita del debito possa mettere in crisi il sistema economico colpendo direttamente le banche, ovvero l’ingranaggio fondamentale su cui si basa oggi il meccanismo di crescita della Cina.

Prestiti a pioggia
Come funziona il sistema bancario a Pechino e dintorni? In modo diverso dai giganteschi istituti globali occidentali. Intanto dobbiamo dire che le banche cinesi contribuiscono ad ingrassare il debito pubblico, dal momento che sono loro a foraggiare una serie di soggetti statali con prestiti a pioggia. La fonte principale delle entrate per le grandi banche cinesi proviene infatti dai prestiti  concessi alle imprese statali: gli istituti prestano soldi ai mastodontici conglomerati al servizio dello Stato, i quali restituiscono la somma maggiorata di un certo tasso di interesse. Accanto ai denari forniti alle aziende, ci sono anche i soldi dirottati nelle casse delle amministrazioni; sia il governo centrale che quelli locali richiedono ingenti prestiti da impiegare in progetti di vari tipo.

Il problema delle amministrazioni locali
Il governo centrale ha dovuto mettere dei paletti rigorosi, perché le amministrazioni locali avevano il vizio di chiedere fiumi di soldi per dare vita a progetti inefficienti. E gran parte del debito pubblico cinese si è accumulato proprio a causa dell’estrema facilità con cui le banche hanno fin qui garantito il loro sostegno a soggetti pubblici a dir poco allegri e incoscienti. In poche parole, se il debito contratto non corrisponde al ricavato della cifra investita, non vi è alcun guadagno. Anzi, si crea ulteriore debito da aggiungere a quello già esistente. E così via in un ciclo infinito e pericolosissimo.

Ecco che Pechino ha iniziato a chiedere ai governi locali di assumersi le responsabilità di tutti gli eventuali rischi consequenziali alle loro operazioni. L’ipotesi peggiore è che una banca possa fallire in quanto impossibilitata a recuperare la somma prestata a un’amministrazione insolvente. Qualche anno fa il governo centrale, in casi simili, apriva i rubinetti statali e provvedeva a ripianare i buchi. Ma adesso ognuno deve imparare a camminare con le proprie gambe.

Le attività delle banche cinesi
Approfondendo il discorso sulle attività delle banche, notiamo come accanto ai prestiti alle aziende e alle amministrazioni vi siano anche voci che rispondono a finanziamenti di privati cittadini e alla cosiddetta shadow banking (cioè i finanziamenti registrati fuori bilancio). Dunque, in caso di default, quali sono i rischi? Vediamoli, caso per caso. Le amministrazioni locali, come detto, rischiano il capitombolo. I cittadini possono stare più tranquilli, perché i loro debiti sono modesti. Diverso il discorso per le imprese: se le aziende non possono chiedere altri prestiti – sia perché le banche non li concedono per via del debito pubblico troppo elevato, sia per una difficoltà economica interna magari causata dalla guerra dei dazi – queste sono costrette a tirare la cinghia. Il che comporta meno investimenti e meno produzione. E per la Cina equivale a un rallentamento nella crescita.

Effetto contagio
Vale poi la pena spendere due parole per il rischio contagio. In Cina è diffusa una pratica molto rischiosa, che ha già portato al fallimento di alcune aziende. Una società ha bisogno di un prestito, ma anziché rivolgersi direttamente alle banche contatta un cosiddetto fondo fiduciario. Lo fa per vari motivi, primo tra tutti risparmiare. Molti fondi raccolgono spesso i risparmi attraverso un alto rendimento (Wmp), a sua volta commercializzato nelle reti di una banca. Nell’ipotesi in cui la società non riesce a saldare il debito con il fondo, si viene a creare un effetto a pioggia: ci rimette ovviamente il fondo, ma anche gli investitori e la banca. Il contagio è a quel punto completato.

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