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Vediamo di capirci

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Si può essere contrari alla guerra in Afghanistan ma onorare Alessandro Di Lisio e ammirare i soldati

 

                           

Non confondiamo sempre tutto e leggiamola su ogni piano.

Piano generale:
è una guerra fatta a sostegno dell’oppio e dei signori dell’oppio nonché a difesa del controllo occidentale di rotte strategiche internazionalmente contese. Va da sé che è una guerra sballata.

Piano statalistico:
Berlusconi, come Prodi o D’Alema (non c’è in questo differenza) mantiene una presenza. Dal punto di vista “assoluto” ha(nno) torto perché noi vorremmo un’azione anti-imperialista. Dal punto di vista della real-politik di un piccolo satellite la cosa è un po’ diversa. Non solo perché più ci si ritira meno briciole si ottengono ma perché si perderebbe anche quel minimo di considerazione internazionale che, ad esempio, ci rende interlocutori tra Russia e Ue e in parte tra Russia e Usa. Per acquisire peso Cavour inviò le truppe a farsi massacrare nella sbagliatissima guerra di Crimea. La guerra fu sbagliatisssima ma per le mire piemontesi ebbe un senso ed è passata alla storia per questo. Certamente le cose stanno un po’ diversamente ma si deve tener conto anche di ciò.
Da che mondo è mondo la politica si fa anche così. Il fatto che non sia la nostra politica non significa automaticamente che sia solo servilismo; c’è anche un minimo di pragmatismo. C’era con Prodi e c’è adesso.

Piano ideale:
è sbagliato immischiarci negli affari afghani ed è giusto favorire l’autodeterminazione. Lo sostengo e lo sottolineo, a patto però di non farne un’astrazione idologica perché altrimenti, per estensione, diventa sbagliato anche l’Impero Romano, il Barbarossa aveva torto e i tedeschi pure. Inoltre non dimentichiamoci che la “decolonizzazione” ha fatto più danni al Terzo Mondo di quanti ne fece il colonialismo e che ha portato, per dinamica compensativa, all’invasione europea da parte degli immigrati. La natura e la storia non accettano il vuoto. Sono le nostre astrazioni ideologiche che producono cristalli immaginari ma si rivelano spesso vuote. Non è la stessa cosa perseguire, concretamente, la nascita di un polo internazionale alternativo, come ai tempi di Nasser e Peron e tifare per una sorta di “fronte del sud” contro l’occidente. Un meno non è un più: sovente il nostro posizionamento risente dell’incapacità di cogliere i mutamenti che si sono verificati. Per me è molto più importante operare sul fronte delle “relazioni di potenza” e verso un rafforzamento euro-russo che tenga conto delle autodeterminazioni che non accettare la versione di lotta di classe rivista e corretta nel piano dei conflitti internazionali. E che si rivela poi irrealistica in quanto quasi ovunque le faide sono tali che gli schieramenti sono più immaginari che reali.

Piano di potenza:
i popoli dominanti spesso si fanno menar per il naso (per gli inglesi è accaduto sovente in quest’ultimo secolo) ma si distinguono dai popoli dominati per il loro saper fare quadrato comunque sulle emozioni basilari (il loro esercito, la loro bandiera, il loro marchio). Si guardi per esempio ai giapponesi.
Sono i dominati che premettono le considerazioni e i sentimentalismi ai sentimenti forti. Si può ribattere che chi lo fa è più intelligente ma questo può valere a livello d’individui o di piccoli gruppi, quando ci si allarga a livelli di popolo l’assunto si rovescia e si scopre che è spesso molto sciocco essere “intelligenti”.

Piano strettamente politico:
l’approccio alla questione afghana dovrebbe tener conto di tutto quanto precedentemente espresso ed esprimere una soluzione alternativa e non una sorta di puntiglio ideologico para-pacifista come abbiamo preso l’abitudine a fare, magari senza rendercene conto, nell’ultimo trentennio.

Piano esistenziale:
che dovrebbe precedere tutti gli altri. Chi cade in guerra non va stimato secondo per chi o per che cosa abbia fatto la guerra. Vale per tutti, anche per i nemici valorosi; sono demenze bibliche estese fino al comunismo che inducono a odiare o a disprezzare gli uomini che non fanno le stesse scelte di campo di chi li giudica. Questo non solo non lo condivido ma lo rigetto.
Il soldato va onorato non per le ragioni per cui è andato in guerra o per chi si nutre vampiristicamente del suo sangue ma per la scelta di vita e di morte che ha compiuto. Vale per i soldati e valeva per i mercenari.
E non regge il fatto di dire che si stanno additando proprio i vampiri. Esistono vari piani e vari momenti nella vita e nella morte. Chi parte per la guerra, parte per la guerra e chi cade, cade. Mettere l’accento su chi ha profittato della sua morte inconsapevolmente svaluta IL gesto (perché è l’unico davvero che conta in una vita) ed è lesivo. Chi muore in guerra muore in guerra perché ha scelto di fare il soldato e di andare in guerra, non per chi approfitta del suo sacrificio. E’ centrale tenerlo a mente, sia da un punto di vista di gerarchia valoriale sia da quello di analisi politica. Se non lo si facesse si dimenticherebbe la sfera del sacro e si sarebbe, comunque, alter/comunisti o alter/liberali. Cosa che avviene sovente.

Per questo sono più che convinto che i tempi e i modi dell’imprescindibile critica alla missione afghana dovrebbero essere diversi e che non dovremmo  lasciarci invischiare dal sensazionalismo di oggi. Il cosa (ovvero la critica alla misisone in Afghanistan) è fuori discussione, quello che va rivisto è il come ma è proprio il come che esprime la qualità, la specifictà, il modo di pensare, di sentire. E’ il come che ci qualifica e ci differenzia.
E torniamo al punto per me cardinale: siamo stati infettatati dalla contiguità con ideologie estranee e dobbiamo praticare una completa rivoluzione culturale fascista.

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