Colin Powell minaccia ignobilmente il Sudan, dove da anni milizie separatiste cristiane hanno scatenato una guerra civile. “E’ un affare tribale interno”, ha risposto il governo di Khartoum. Difficile che tale risposta plachi la furia dei gangster globali. Il copione messo in scena è infatti sin troppo simile alla farsa che ha portato all’aggressione serba. Auguri.
WASHINGTON – Nel Darfur – la regione occidentale del Sudan, teatro da anni di una sanguinosa guerra civile – è stato commesso un vero e proprio genocidio, a danno delle popolazioni di fede cristiana e animista: lo ha denunciato il segretario di Stato americano, Colin Powell. Che ha anche aggiunto, senza mezzi termini, che di questo massacro sono responsabili il governo del Sudan e le milizie islamiche dei “Janjawid”, alleate di fatto delle truppe regolari.
E la risposta non si è fatta attendere: la questione del Darfur è un “problema tribale interno”, ha detto oggi il ministro delle finanze sudanese. Chiudendo così la porta alle richieste americane.
Powell ha parlato della situazione in Sudan nel corso di una testimonianza davanti alla commissione Esteri del Congresso, a Washington. E ha lanciato una sorta di ultimatum: “Non possiamo più accontentarci di parole dal governo di Khartoum”. Parole che dimostrano come gli Stati Uniti stiano aumentando le pressioni sul Sudan, per porre fine alla guerra civile. Non a caso, ieri gli Usa hanno presentato al Consiglio di sicurezza dell’Onu un nuovo progetto di risoluzione, in cui si chiede l’ampliamento del mandato della forza di controllo dell’Unita Africana (Ua) e dove si minacciano sanzioni, in particolare nel settore petrolifero, contro il governo di Khartoum.
E anche l’uso del termine “genocidio” fa parte della strategia americana. Certo, il ricorso al termine non comporta obblighi giuridicamente vincolanti per l’amministrazione, nell’intervenire in Sudan; ma è un fatto che una simile presa di posizione appare destinata a influenzare il dibattito diplomatico al Palazzo di Vetro.
“Parlare di genocidio non autorizza automaticamente l’uso della forza, ma dovrebbe cambiare la dinamica del negoziato in corso”, ha osservato Nina Bang-Jensen, direttrice dell’organizzazione “Coalizione per la Giustizia Internazionale”, che sul Darfur ha realizzato uno studio. Commissionato, appunto, dal dipartimento di Stato Usa. Ma comunque si tratta di un concetto che evoca “un imperativo morale e legale di agire”.
(9 settembre 2004)