Quarantotto anni fa la crisi di Suez. In seguito il vittorioso Nasser avrebbe costretto gli Americani e gli Israeliani a preoccuparsi tanto da suscitare e foraggiare i fondamentalisti islamici contro il nazionalismo che aveva risvegliato.
26 luglio 1956. La nazionalizzazione del canale di Suez, decisa a sorpresa dal regime del colonnello Nasser, al potere in Egitto dal 1952 provoca una crisi internazionale. Israele, Francia ed Inghilterra attaccano militarmente gli egiziani, ma l’Onu e gli Stati Uniti, impegnati nella “decolonizzazione” , di fatto per la “nuova colonizzazione delle multinazionali” mettono freno all’aggressione. I giovani del Msi avevano frettolosamente allestito un barcone per partire volontari ad appoggiare le forze amiche dell’Egitto. Il nuovo governo egiziano, che aveva instaurato canali preferenziali economici e diplomatici con il Msi, grazie a Filippo Anfuso, era l’espressione dei giovani ufficiali nazionalisti che si erano battuti contro l’Inghilterra nelle fila dell’Asse. Nasser avrebbe rappresentato di lì a poco il punto di riferimento del nazionalismo panarabo (tanto che trasformò l’Egitto in R.A.U. Repubblica Araba Unita) ed osteggiò fattivamente le mire neo/imperialistiche americane. A partire dagli anni Sessanta gli Usa utilizzarono contro di lui e contro il regime che gli è succeduto il pupazzo Gheddafi – sempre pronto ad attribuirsi la paternità di ogni attentato che porta alla Cia e indisturbato tranne che sotto Reagan – e gli integralisti islamici. Fu un attentato dei Fratelli Musulmani che mise significativamente fine alla vita del successore di Nasser, Sadat, la cui politica aveva costretto gli israeliani a retrocedere dai territori occupati. Da allora la politica nell’area non è mutata. Contro il Nasserismo e contro i partiti Ba’as, contro il nazionalismo palestinese, gli Usa e Israele alimentano il fondamentalismo islamico.