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Libro-intervista a cura di Tiberio Graziani
Prefazione di Enrico Galoppini
Seguito dal saggio “L’Asse e l’Anaconda. L’Iraq di fronte alla conquista dell’Eurasia” di Carlo Terracciano.

Prefazione


di Enrico Galoppini



Il controllo del discorso sull’Iraq



Chi leggerà questo libro-intervista, che a causa di una limitata distribuzione non godrà della grancassa delle recensioni importanti, con buona probabilità fa parte di un’élite, di quelle persone, cioè, che s’interrogano e che hanno intuito che qualcosa nelle versioni ufficiali non va, che hanno fiutato l’«inganno iracheno».



Senza voler fare dello snobismo, e se si hanno delle relazioni con persone di varia estrazione, ci si rende facilmente conto però che si è letteralmente circondati da gente per la quale sapere che un Paese viene aggredito pretestuosamente e sottoposto ad ingiustizie a catena non costituisce un fattore di scandalo. Si tratta di persone spesso in buona fede, ma che per semplice ignoranza o perché «si informano» quel tanto che reputano bastevole, provano compassione, sgomento e indignazione per le tragedie che colpiscono popoli interi solo se glielo ordina il telegiornale.



A queste persone vorrei davvero che giungesse questo volumetto, di modo che si rendano conto che mentre un mondo cosiddetto «libero» viene immerso a forza nell’atmosfera da psicodramma collettivo delle celebrazioni della prima ricorrenza dell’11 settembre e dell’avvio di Enduring freedom, in Iraq si ricordano, certo più sommessamente, i dodici anni di un evento realmente duraturo, tanto che verrebbe da chiamarlo Enduring embargo.



Ma i «padroni del discorso» hanno buon gioco nell’aver partita vinta: l’embargo all’Iraq ha decretato la morte mediatica di questo Stato, che non riesce più a far sentire la propria voce al resto del mondo. Tutte le calunnie sono permesse senza tema di smentita.


L’ultima, davvero esilarante, riguardava un “figliastro di Saddam Hussein” intento ad ordire trame malefiche per sabotare il 4 luglio degli americani. Anche gli sbarchi di disperati sulle coste italiane offrono lo spunto per disinformare, e in totale contraddizione rispetto a quanto evidenziano le immagini questi sono metodicamente descritti come “di profughi in maggioranza curdi”. Non vittime della pulizia etnica strisciante messa in atto dalla Turchia (paese dal quale salpano appunto le «carrette del mare»), ma “in fuga dal regime di Bagh

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