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A destra per caso

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Una recensione del libro di Gambescia e Vacca


Non è il Dialogo di Galileo intorno ai massimi sistemi. Non è il Dialogo all’inferno tra Machiavelli e Montesquieu, intendo dire quel celebre libello che fece da spunto ai Protocolli dei Savi di Sion. E non è neppure le Conversazioni a tavola del Führer. Qui sembra d’essere al cospetto di uno di quei dialoghi semiseri con cui certi philosophes illuministi componevano con molto ésprit de finesse i loro pamphlet di demolizione dell’ancient Règime. Carlo Gambescia e Nicola Vacca, l’uno sociologo liberal-cattolico e l’altro scrittore laico-socialista, buttano il corpaccione della “destra” italiana nella macina della critica del giudizio, con tutte le frattaglie, grandi e piccole, con tutti i rimasugli e i detriti di cui quel relitto antistorico è intriso. Sottopongono quella straziata creatura allo sferzante giudizio di una logica che si direbbe catto-lib-lab e… da quest’operazione di spremitura senza sconti, dài e ridài, non esce un bel nulla.
Sfogli, leggi, riguardi, segui le argomentazioni, le battute, i rimandi colti e quelli en passant… e alla fine capisci. Ciò che si era intuito, così, alla buona, dunque è vero: in Italia, di una “destra”, che sia uno straccio di “destra”, non v’è traccia.
Leggendo A Destra per caso. Conversazioni su un viaggio (Edizioni Il Foglio) si capisce che all’Italia manca una fetta di arco costituzionale, come dire, è orba di tutta una cultura politica che ebbe i sui fasti, i suoi bei nomi, e che insomma si riassume sotto la sigla di liberalismo nazionale. Gambescia e Vacca ne hanno per tutti: e battono parecchio sul chiodo di Fini e dei finiani, renitenti al loro ruolo storico, in fuga con gravi perdite di credibilità tra le gambe della “sinistra” buonista e sistemica. Verrebbe da chiedere: ma a questo punto, che c’entrano Fini e i finiani con la “destra”, con una qualunque “destra”? E cos’hanno a che vedere costoro con una cultura politica autonoma, alternativa, magari di promozione di quello che dovrebbe essere l’articolo primo del decalogo di una “destra” qualsiasi, cioè la ferma difesa dell’identità nazionale?
Gambescia esprime il concetto quando parla dei finiani in lotta decennale contro tutto quello che sa di cultura e di cultura politica. Tendenza che sembrerebbe non sovvertita, ma ribadita da quella valanga di nomi buttati là a casaccio da Fini in persona, in quello che è il suo inopinato Mein Kampf postmoderno: intendiamo il noto, temibile libro intitolato, con mordente democristiano, Il futuro della libertà, con cui lo “Special One” della ex-“destra”, tra lo stupore generale, diventa socratico: “Fini, in realtà – scrive Gambescia – ha scomodato lo scibile umano per educare una generazione a lanciare le sfide epocali del cambiamento che passano sempre più per il concetto di libertà cosmopolita”.
Ben detto. Nel vergare quella fatica titanica, che da una montagna di nomi ha partorito il vecchio topo massonico-giacobino dei diritti individuali e del “patriottismo costituzionale”, probabilmente Fini si sarà fatto tenere l’incerta manina da tempre superiori, che so, un Campi… o forse magari un Croppi? E anche per costoro, come per tutto il circo culturale che ruota attorno alla “destra che non c’è”, Gambescia e Vacca hanno il piede pesante…Cardini, Malgieri, Buttafuoco, Veneziani… diresti che non se ne salva uno: “una destra campata in aria, un po’ futurista, un po’ anarchica, ma tanto immaginaria…”. Schizzi di critica al vetriolo si spargono ovunque tra le pagine dell’irriverente pamphlet, che vorrebbe essere garbato e riguardoso, salottiero e cinico, e invece qua e là è in bello stile squadristico… i colpi d’ascia finalmente non mancano e finalmente le mezze checche del pensiero debole hanno quel che si meritano.
Gambescia e Vacca avrebbero anche potuto andare giù più duri ancora, intendiamoci, alla Papini, alla Giuliotti… l’invettiva stana il codardo, rianima il pavido, hai visto mai che non faccia scattare anche qualche molla… ma insomma accontentiamoci, che non è poco. Difatti, i due eretici del conservatorismo nazionale, se da una parte si attardano a deplorare i diabolici compromessi della “destra” debole: “La destra nuova inciampa volentieri nei miti della sinistra… somiglia molto alla “destra strana” che in questi ultimi anni Fini, in perfetta solitudine, sta costruendo e che piace molto ai suoi avversari politici”… dall’altro lato si aprono al superamento dello sclerotico dualismo della gnosi democratica – del tipo “fascismo-antifascismo” – e all’apprezzamento di quell’unico tentativo, diciamolo, che in chiave politico-culturale è stato fatto negli ultimi decenni per piantare in asso l’immaturità ideologica e la povertà sintetica del democraticismo italiano: la Nuova Destra di Tarchi. “Alta montagna delle idee”, viene definita quell’isolata postazione metapolitica.
Solo che, poi, si scivola nel banale. Quando Gambescia, tra certi possibili testimonial storici, accenna al fatto che sia esistito un fascismo “libertario”, che quanto meno “allargò la base dei diritti civili, favorendo il diritto al lavoro, alla casa, alla sanità, alla previdenza sociale…”, Vacca se ne esce con un improprio “peccato che trascurasse i diritti politici”. Ma quei diritti erano politici. Erano soprattutto politici. Molto più politici che non l’andare a mettere una scheda nell’urna ogni tot di anni, in un sistema che la politica se la fa parecchio al di sopra delle teste di “liberi” cittadini fessi e contenti… non è così?
Gambescia invoca “una destra imbevuta di quel liberalismo politico di cui ho parlato, e dunque capace di imporre regole al mercato…”, ma teme le derive “totalitarie” di un’opposizione radicale…Intanto, mentre l’atroce dilemma non viene sciolto, il libero mercato, la cosa più libera e insieme più totalitaria che abbia mai prodotto il liberalismo, finisce la sua opera di annientamento dei legami sociali e delle identità.
E’ un peccato, perchè ai nostri eroi piacciono Aron, Croce, Pareto… tutta gente che, quando occorreva, sapeva metter mano alla leva radicale… Ma noi incalziamo: un passo ancora e ci si imbatte in Gentile, in Costamagna… un altro piccolo sforzo e ci si ritrova dalle parti di Bottai e Ugo Spirito… insomma, la direzione potrebbe essere quella giusta, si tratta solo di essere dinamici e di iniziare un cammino.
In questo senso io, modestamente, a Gambescia e Vacca, detto fra noi, un consiglio da dare per trovarsi bene con le loro idee ce l’avrei: saltate il fosso. Lasciate perdere la “destra”. Quella è una fregatura storica. Siete di provenienza cattolica e socialista? Benissimo. Ammirate la cultura politica nazionalista – perchè questa era – del tempo che fu, Max Weber, Ortega, Prezzolini? Ottimo. Ne vorreste oggi una moderna di eguale segno, per dare contenuti a un grande partito dell’identità nazionale? Ancora meglio. C’è il “Fascismo del Duemila”, un virgulto senza più padre né madre, abbandonato per strada in malo modo, che vi aspetta a braccia aperte: quel rampollo disonorato attende che qualcuno lo adotti, che gli dia un sano ricostituente ideologico: l’epoca storica si presta come poche. Lavoro difficile, s’intende, ma intrigante. E poi il futuro è immenso. Dunque, al lavoro, amici. In questa grande opera di coraggiosi precursori e di tenaci inattuali, non sarete mai soli.

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