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Ankara tiene

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Malgrado le minacce estive mantiene il punto di rottura con Tel Aviv

La Turchia riduce le sue relazioni diplomatiche con Israele e sospende tutti gli accordi militari con lo Stato ebraico. La decisione, annunciata dal ministro degli esteri Ahmet Davutoglu, fa seguito al rifiuto israeliano di presentare scuse ad Ankara per l’attacco del maggio 2010 contro la flottiglia internazionale di solidarietà a Gaza, in cui rimasero uccisi 9 attivisti turchi.
Le scuse e un risarcimento vengono auspicate anche dal rapporto Palmer dell’Onu, anticipato ieri dalla stampa, che da un lato condanna l’eccessivo uso della forza da parte di Israele durante il blitz, dall’altro afferma che il blocco imposto a Gaza è legale. La Turchia dichiara invece di non riconoscere la legittimità dell’embargo.

Dopo gli attentati di giugno contro Erdogan e la levata di scudi di luglio delle alte sfere delle forze armate filo-atlantiste contro il governo, era lecito leggere l’irrigidimento turco verso la Siria anche come un possibile rinnegamento della nuova via “ottomana” che caratterizza il governo di Ankara. Come un cedimento di fronte alle minacce palesi e preoccupanti. Ora sembra invece confermarsi l’altra chiave di lettura, quella secondo la quale anche in Siria la Turchia starebbe giocando la carta della crescita come potenza nazionale in grado di far da diga alla spinta waabita e da contenitore al servilismo insurrezionalista dei Muslim Brothers (of Wasp). La grande incognita risiederà, allora, nelle relazioni con Teheran perché gli interessi iraniani e turchi possono divenire conflittuali tra loro.
 

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