Se perde le regionali suggerisce che liquiderà l’apparato di An che ha portato il virus della partitocrazia
“Mi sono pentito. Non c’è stata la fusione come la immaginavo io. Anzi, quelli di An hanno iniettato nel nostro partito il virus delle correnti. Forse si poteva studiare un’altra soluzione. Ma oramai dobbiamo fare i conti con quello che c’è”. L’amarezza è quella del “fondatore”. Di Silvio Berlusconi, che aveva progettato di costruire il “primo partito italiano” e di fare da levatrice ad un movimento politico di lungo periodo. Ora, però, quel “sogno” si è trasformato in un incubo. Che agita i suoi sonni in maniera tanto energica da fargli proclamare persino il “pentimento”. Dopo il coinvolgimento del coordinatore Denis Verdini nell’inchiesta G8, la pentola del Pdl si è scoperchiata in un attimo. Con un tutti contro tutti che ha messo in mostra odi antichi e scontri recenti. Ha fatto nascere correnti e camarille. Basate su un solo presupposto: piazzarsi nel posto migliore in vista della “successione”.
“Ma io – ha avvertito il capo del governo – non ho alcuna intenzione di mollare”. Non solo. L’idea che qualcuno pensi al “dopo” lo fa letteralmente infuriare. “Sono disgustato. Così non si può andare avanti e se perdiamo le regionali , cambio tutto“. E nella “rivoluzione” rientrerà anche il “triumvirato” Verdini-La Russa-Bondi. Tant’è che ieri il presidente del consiglio ha iniziato a sondare Claudio Scajola. “Faresti il coordinatore unico?”. “Solo se continuo a fare il ministro”, la risposta.
Da qualche giorno, dunque, la sede del partito è attraversata dal fragore della lotta intestina. E i riflettori sono puntati su gli ex aennini. “Mi dicono – si è sfogato Berlusconi – che le loro correnti a livello locale stanno cannibalizzando tutto”.
I “finiani” addirittura stano pensando a far nascere dei “Club” nel nome del presidente della Camera. Ma non solo loro si muovono. Anche la galassia degli ex forzisti si è messa in azione. “Fratelli coltelli”, è il motto più usato per descrivere il clima. E già, perché la guerra non è combattuta solo dagli uomini di Alleanza nazionale. A volte taglia trasversalmente le due componenti d’origine. Basti pensare che Verdini e Bondi sono soprannominati “parenti serpenti”. Un tempo “amicissimi”, adesso si odiano. Motivo? “Denis ha fatto asse con La Russa”, emarginando il ministro dei Beni culturali. Oppure è sufficiente leggere le ultime intercettazioni di cui è stato protagonista ancora Verdini nell’inchiesta fiorentina. “Io – sibilava conversando nel 2008 con Riccardo Fusi spiegando le nomine ministeriali – a Scajola non glielo fò il vice… A Vito sì”.
Con Verdini ce l’hanno in molti: “Non ci ha mai difeso e non è mai presente”, è l’accusa che tutti i “peones” ripetono ad ogni piè sospinto. Ma un altro che nel Transatlantico di Montecitorio viene seguito con sospetto dai forzisti è il finiano Italo Bocchino. “Pensa di comandare con il gruppo dei napoletani”, si sfoga un deputato piediellino del nord. Con Bocchino, anche Mara Carfagna si è fata un bel po’ di nemici. Compreso il Cavaliere che non ha gradito la sua preferenza pubblica per Fini: “Dopo il Cavaliere vedo Gianfranco”, aveva detto. E il gruppo forzista se l’è legata al dito. Così, non a caso, sono usciti dal congelatore due iniziative messe in campo qualche mese fa. I “Club della libertà” di Valducci e i “Promotori della libertà” della Brambilla. “Ho avuto il via libera del presidente”, spiega il forzista della prima ora. I suoi Club serviranno a “fronteggiare quelli di An che si stanno impadronendo di tutto”. I “Promotori” brambilliani, invece, saranno dei “raccoglitori di voto”: andranno porta a porta a convincere gli elettori, come “I comitati civici” messi in piedi da Gedda nel ’48. Sta di fatto che gli esponenti di Forza Italia non riescono a organizzarsi come quelli di Alleanza nazionale. Tante “microcorrenti” che fanno riferimenti a singoli ministri o plenipotenziari: Scajola, Pisanu, Valducci. Mai in grado, però, di fronteggiare la struttura dell’ex Msi. Non a caso da Palazzo Chigi è arrivato un via libera informale: “a questo punto strutturatevi pure voi”.
Le correnti, però, stanno facendo a pezzi anche i vecchi assetti. Ad esempio: i due “colonnelli” Ignazio La Russa e Altero Matteoli non si parlano più da quasi due anni. Il ministro della Difesa ha dato vita al “Correntone di Arezzo” con Gasparri e Cicchitto. Quello delle Infrastrutture preferisce restare autonomo e coltivare il rapporto solo con il premier. Non più con Fini. Tant’è che l’inquilino di Montecitorio, della vecchia squadra non si fida più. Non considera più “fedelissimi” La Russa e Matteoli e su Gasparri è andato addirittura oltre: nei giorni scorsi ha chiesto a Berlusconi di valutare la possibilità di rimuoverlo dall’incarico di capogruppo al Senato.
Anche Fini, dunque, inizia a piazzare le sue truppe. Tutti si muovono per il “dopo Berlusconi”. A Palazzo Chigi, ad esempio, c’è chi imputa pure al ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, di non essersi speso nella difesa della “squadra” sulle vicenda G8-Bertolaso-Letta. Il titolare del Tesoro, del resto, si è costruito un “plotone” di fedelissimi pronti a progettare un’altra “fusione a freddo”: quella con la Lega. Per giocarsi la sua partita. E nel risiko complicatissimo del Pdl, Berlusconi ha dovuto aspettare un turno per “promuovere” il “suo” Gianni Letta a vicepremier.