mercoledì 19 Novembre 2025

Biometria, quando fallisce l’infallibile

Più letti

Global clowns

Note dalla Provenza

Colored

Le vostre impronte digitali vengono trovate in un covo di terroristi. Il vostro DNA è sull’arma di un delitto. Come dimostrate la vostra innocenza? Le odissee di due vittime del delirio di onnipotenza che circonda la biometria

Brandon Mayfield è un avvocato musulmano che vive nell’Oregon. Di recente è stato preso dall’FBI e incarcerato per 17 giorni, con l’accusa devastante di terrorismo: coinvolto negli attentati di Madrid. Le sue impronte sono sui materiali usati dai terroristi. Una prova schiacciante.


Peter Hankin, un barista di Liverpool, viene arrestato da Scotland Yard perché il suo DNA è sull’arma che ha ucciso una ragazza nella pineta di Campolecciano, vicino a Castiglioncello, il 19 agosto 2002. Un’altra prova schiacciante.


Ma entrambi vengono ben presto scarcerati, e le forze di polizia che li avevano arrestati devono chiedere profondamente scusa. Nessuno dei due ha commesso il delitto di cui era accusato, anche se i suoi dati biometrici (DNA, impronte digitali) lo inchiodano. O forse no.



Delirio digitale


Adesso che ci avviciniamo all’era della biometria sempre e dovunque, è forse il caso di smentire alcuni miti che circondano l’argomento. Prima di tutto, la biometria non è infallibile. Persino le mitiche impronte digitali, che sono uno dei più classici strumenti della biometria, sono assai meno affidabili di quanto i non addetti ai lavori, e soprattutto i politici che poi devono decidere se acquistare costosissimi sistemi biometrici basati (anche) sulle impronte digitali, immaginino.


Nel caso di Mayfield, per accusare di terrorismo un innocente è bastata una semplice ritrasmissione digitale di un’impronta imperfetta, con un numero “insolito” di punti di somiglianza con le impronte del malcapitato avvocato; al resto hanno pensato i pregiudizi. Ehi, Mayfield è un musulmano, ha fatto una telefonata a un ente di beneficenza islamico finito nella lista USA dei sorvegliati, e l’ha fatta esattamente un anno dopo gli attentati dell’11 settembre: ergo è un terrorista! Vive nell’Oregon ma le sue impronte sono state trovate a Madrid? Dettaglio trascurabile.


L’FBI ha frettolosamente promesso di rivedere le proprie procedure, ma qui più che altro si tratta di cambiare la testa della gente, cosa ben più impegnativa. La troppa fiducia riposta nell’infallibilità delle impronte digitali ha indotto i funzionari dell’FBI, secondo il New York Times, ad essere “così fiduciosi della corrispondenza che non si sono mai preoccupati di esaminare l’impronta originale” (invece della sua scansione digitale) quando si sono recati a Madrid, e nonostante le insistenze degli investigatori spagnoli, che adesso hanno trovato che le impronte incriminate corrispondono a quelle di un algerino. Ci si potrà fidare stavolta?


Il povero Peter Hankin ha tribolato assai più a lungo per convincere gli investigatori della propria innocenza. Il ritrovamento del suo DNA in Italia era tutto sommato a prima vista plausibile; l’unica cosa che ha scagionato Hankin nonostante la prova apparentemente inequivocabile del DNA è stato il suo alibi di ferro: decine di testimoni, compreso il titolare del locale e numerosi clienti, hanno infatti confermato che era sicuramente in Inghilterra nel periodo del delitto. Ma “la polizia, sia quella inglese che italiana, si è comportata in modo superficiale. Nessuno di loro ha fatto un minimo di indagine”, secondo le dichiarazioni al Sunday Mirror del difensore di Hankin.



Questione di mentalità


Questo è esattamente il tipo di pericolo che si prospetta, su scala assai più vasta, con l’introduzione delle tecnologie biometriche nella vita quotidiana. Non è tanto un problema della tecnologia in sé, quanto dell’uso inadeguato che se ne fa. Gli inquirent

Ultime

Si fa acqua da tutte le parti

Ormai è diventata un valore anche in quel senso

Potrebbe interessarti anche