Si stanno cercando nuove strade per curare l’alzheimer e il parkinson. Voi ne siete affetti da almeno trent’anni, chissà se si farà in tempo a curarvi…
MILANO – Un’alterata gestione del ferro cerebrale potrebbe favorire l’insorgenza del morbo di Pakinson e dell’Alzheimer. E’ quanto emerge da una rassegna pubblicata in questi giorni sulla rivista ‘Nature Reviews-Neuroscience’ da Luigi Zecca, ricercatore dell’ Istituto di Tecnologie Biomediche-CNR di Segrate.
Questa rassegna fa il punto sui principali studi condotti fino ad oggi in questo campo e trae importanti conclusioni sul ruolo patogenico del ferro nelle malattie neurodegenerative.
”L’accumulo di ferro e il suo alterato metabolismo – spiega Zecca – sono spesso eventi precoci e addirittura presenti nella fase in cui le malattie neurodegenerative non danno ancora sintomi. Su questa base sono in corso studi per lo sviluppo di metodi in grado di rivelare le alterazioni del ferro cerebrale e quindi di effettuare una diagnosi presintomatica del Parkinson e dell’Alzheimer”.
Questo infatti e’ uno dei grandi obiettivi per il trattamento delle malattie neurodegenerative e cioe’ diagnosticare la malattia molto prima della comparsa dei sintomi. Tra i metodi che in futuro potrebbero consentire diagnosi precliniche di queste malattie, secondo il ricercatore del Cnr, ci sono la risonanza magnetica, la tomografia a emissione di positroni, la tomografia a emissione di fotone singolo e l’ultrasonografia ”La visualizzazione dei depositi e del ‘traffico’ del ferro cerebrale con queste tecniche – afferma Zecca – permetterebbe inoltre di seguire l’evoluzione delle malattie neurodegenerative e di valutare la risposta alle terapie. Da qui gli sforzi dei ricercatori per sviluppare farmaci con ‘azione chelante specifica’, cioe’ capaci di rimuovere selettivamente gli accumuli pericolosi di ferro senza toccare il ferro coinvolto in processi fisiologici essenziali per l’organismo quali il trasporto di ossigeno, attivita’ enzimatiche etc.”.