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Bye bye

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Niente diplomazia, siamo inglesi

Britannici, e per di più ambasciatori: più educati e irreprensibili non si potrebbe immaginarli, ma i diplomatici di sua Maestà per anni hanno scritto peste e corna dei popoli che li ospitavano in lettere al Foreign Office davvero… poco diplomatiche. Ora, dopo anni di segreto, le missive sono state rivelate dalla Bbc. “Temo che non ci siano dubbi sul fatto che il nicaraguense medio sia uno dei più disonesti, inaffidabili, violenti e alcolizzati fra i latinoamericani”, scriveva ad esempio senza peli sulla lingua Roger Pinsent da Managua nel 1967. E David Hunt non fu più tenero con la Nigeria nel 1969: i suoi leader, scriveva, “fanno impazzire con la loro abitudine di scegliere sempre la strada che farà il massimo dei danni ai loro interessi”. E “gli africani in generale non solo non disdegnano di castrarsi per far un dispetto alla moglie, ma lo considerano un trionfo della chirurgia estetica”. I tailandesi, secondo Anthony Rumbold nel 1965, “non hanno letteratura, non hanno pittura e un solo tipo di musica molto strano: la loro scultura, ceramica e danza sono mutuate dall’esterno”. E non basta: “La lascivia è il loro principale passatempo”. Anche popoli vicini e amici cadevano sotto la scure del sarcasmo ‘made in Uk’: “(In Canada) chiunque sia anche solo moderatamente bravo in ciò che fa – in letteratura, teatro, sci o che so io – tende a diventare una figura di rilevanza nazionale. E chi si distingue dalla folla tende ad essere elevato al cielo e ottenere subito l’Ordine del Canada”, scriveva Lord Moran nel 1984. Questi giudizi erano contenuti nelle “lettere di commiato”, una pratica seguita degli ambasciatori britannici al termine della loro destinazione in una sede, in cui per tradizione si effettuava una valutazione del paese e dei suoi rapporti con Londra. A onor del vero, oltre a insultare i loro ospiti, gli ambasciatori si lasciavano spesso andare a critiche autoironiche sul servizio diplomatico e la sua burocrazia: “E’ mai possibile che nel guadare il fiume di piani aziendali, riesami delle capacità, controlli di qualità (…) e altre escrescenze dell’età del management, ci siamo dimenticati cosa sia davvero la diplomazia?” scriveva Sir Ivor Roberts, ambasciatore in partenza da Roma nel 2006. Evidentemente colpì un nervo scoperto, perché il Foreign Office, per quelle parole così diplomatiche, decise di mettere fine per sempre alle ‘lettere di commiato’.

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