Home Tempi Moderni C’è un cuore che batte nel cuore di Roma

C’è un cuore che batte nel cuore di Roma

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  ma è extrasistolico

                Esiste un’altra città all’interno di Roma. Una Capitale nella Capitale, dove i suoi abitanti si confondono tra pendolari e cani randagi. E’ la Roma dei 6.000 “senza fissa dimora”, la città italiana con il più alto numero di homeless e per questo “capitale dei clochard”. Queste migliaia di vite si sommano agli altri 11 mila “signor nessuno” che vagano per il resto del Paese.
In tutta Italia gli homeless sono 17 mila: 5.000 a Milano, 2.000 a Torino e poco meno a Napoli, Firenze e Bologna, almeno secondo un rapporto illustrato a Roma e basato su rilevazioni Caritas e sulle cifre riferite dalla Comunità di S. Egidio. Nella Capitale 4.000 senza tetto dormono per strada ogni notte, 1.000 sono ospiti nei centri di accoglienza notturni del Comune e dei volontari e altri 1.000 occupano fabbricati fatiscenti, baracche o altro.
Il 60% dei senza fissa dimora a Roma sono stranieri, la maggior parte dei quali provenienti dall’Est, dall’Afghanistan e rifugiati. E a Roma su 32 mila clochard stranieri che hanno chiesto, nel corso degli anni, di imparare l’italiano, il 37% sono laureati, come riferiscono dalla scuola di italiano della Comunità di S. Egidio a Roma.
Sono tante le esperienze di chi è passato dal profumo dei libri alla nausea dei cartoni umidi. Ma in mezzo, tra quelle due opposte condizioni di vita, una volta c’era il sogno. Come quello di Alla, laureata russa di 40 anni, venuta a Roma per necessità economiche lasciando la famiglia a S. Pietroburgo otto anni fa per svolgere il lavoro di ingegnere: una qualifica non riconosciuta in Italia. Tutto da rifare. Dalle baracche alle pensiline delle stazioni, Alla è riuscita prima a lavorare onestamente, poi a laurearsi di nuovo qui in Italia. Tanti clochard, invece, rimangono per strada come in un limbo. Secondo i dati nazionali, il 50% dei senza fissa dimora italiani dice di vivere senza un tetto da più di 4 anni e il 18,7% degli homeless italiani provengono da situazioni di disgregazione familiare.

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