Gli americani ricorrono agli scienziati per capire che le statistiche sono erronee e che ognuno di noi è, in buona parte, quello che crede di essere. Qualcuno riesce persino a divenire colui che è, ma questo è un po’ troppo impegnativo…
BOSTON (USA) – I dati più recenti sulla cosiddetta contabilità dello star bene confermano il vecchio detto secondo il quale vi sono in ciascuno di noi tre persone: quello che siamo, quello che crediamo di essere e quello che gli altri credono che noi si sia.
L’articolo pubblicato oggi su Science da un’équipe di psicologi, sociologi ed economisti, guidata dal premio Nobel per l’economia Daniel Kahneman, professore di psicologia all’Università di Princeton, ricapitola anni di ricerca, misurando la profondità del solco tra le nostre sensazioni effettive, ora per ora, e le nostre idee preconcette sulla qualità della vita quotidiana. Basti un esempio, tutto europeo. Si è presa una nazione scandinava e una nazione latina, tali che tutti gli indici ufficiali delle condizioni medie di salute dei cittadini (mortalità, morbidità, indici di ricoveri ospedalieri, consumo di farmaci ecc.) fossero identici. Eppure l’idea del proprio stato di salute risulta diversissima: in media i latini ritengono di star assai meno bene in salute degli scandinavi. Però, se poi si mette in atto un ingegnoso e rivoluzionario sistema, chiamato Esm (metodo di campionamento dell’esperienza), per monitorare momento per momento la sensazione di benessere, la differenza sparisce di nuovo. L’idea del nostro stato di salute spesso non corrisponde a come effettivamente ci sentiamo di stare, in tempo reale. Lo stesso vale per l’impiego del tempo, la gradevolezza o spiacevolezza di piccoli episodi quotidiani e il profilo della normale giornata.
Ancora un dato piuttosto sorprendente, questo americano: il momento più infelice di una normale giornata è quello in cui si è da soli, in auto, guidando da casa al posto di lavoro e viceversa. Segue a ruota il tempo passato con un superiore sul posto di lavoro.
Pochissimi, però, nel questionario, avevano individuato tutto ciò come i più pesanti fattori di infelicità giornaliera. All’opposto, i momenti più lieti sono, nell’ordine, per le oltre novecento donne lavoratrici americane partecipanti allo studio: rilassarsi tra amici, pranzare con i colleghi, guardare la tv da soli, fare shopping con il coniuge, preparare un pasto in casa.
Kahneman e il compianto Amos Tversky, collaboratori e co-autori per decenni, hanno trasformato in un’arte la misura del gap tra realtà oggettiva, concezioni di noi stessi e sensazioni effettive. Un altro esempio, un classico: Rossi fa venti minuti di coda (poniamo, per acquistare un biglietto per lo stadio). La coda comincia lentissima, ma poi si sveltisce, e gli ultimi 5 minuti diventano quasi una lenta camminata.
Bianchi fa anche lui 20 minuti di coda, ma questa comincia rapida per poi rallentare e gli ultimi 5 minuti sono lo smaltimento solo di pochissimi individui avanti a lui. Ebbene, la loro vicenda oggettiva è identica (20 minuti di coda) ma Rossi l’avrà vissuta in modo assai migliore di Bianchi.
Per capire la novità dei metodi impiegati (lo Esm menzionato sopra, e il Drm Day Reconstruction Method, cioè metodo di ricostruzione giornaliera, meno dispendioso), immaginiamo di essere uno delle molte centinaia di soggetti già st