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Cronache di un disastro

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La gestione della crisi in Italia è già fallimentare

Maria Valeria Guerriero vive a Cogliate, un paesino della Brianza a nemmeno 30 chilometri da Milano. Abita da sola nel suo appartamento di 50 metri quadrati. Il suo compagno è morto sei anni fa, il figlio diciannovenne vive con i nonni. La mensa presso cui lavora ha chiuso i battenti da circa due mesi, da quando la Lombardia e l’Italia hanno scoperto l’epidemia di Covid-19 dentro i propri confini. Da allora non riceve lo stipendio.
“Non ho avuto anticipi di cassa integrazione, soltanto una quota della quattordicesima. Ogni tanto mia madre pensionata mi passa 100 euro, quando proprio non ce la faccio più ad andare avanti. Ho chiesto un fido a una banca, ma serve il Cud dall’azienda e non l’ho ancora ricevuto”, racconta.
Con il decreto “Cura Italia”, approvato lo scorso marzo, il governo ha stanziato circa 5 miliardi per gli ammortizzatori sociali destinati ai lavoratori vittime delle chiusure di massa. Il governo ha anche semplificato le procedure, alleggerendo i controlli sulle aziende richiedenti per togliere pressione sui loro bilanci, già messi a rischio dalla crisi.
La platea stimata per la cassa integrazione in deroga, riservata per lo più alle imprese con meno di 5 dipendenti, è di 2,3 milioni di persone. Ad oggi, stando ai dati Inps, poco meno di 29.000 hanno ricevuto il beneficio.
È andata meglio sul fronte della cassa integrazione ordinaria e dell’assegno ordinario, ammortizzatori sociali che riguardano soprattutto la media e grande industria. I beneficiari individuati sono poco più di 7,7 milioni, dicono i dati Inps. Di questi, circa 4,9 milioni hanno ricevuto l’assegno grazie alle anticipazioni da parte delle imprese.
Con una recessione ufficialmente stimata a circa l’8% del Pil nell’intero 2020, il governo mira a salvaguardare il maggior numero possibile di posti di lavoro, e ieri in parlamento il ministro dell’Economia Roberto Gualtieri ha ribadito che il sostegno ai lavoratori sarà erogato finché ce ne sarà bisogno.
Poche settimane fa Gualtieri aveva promesso ai beneficiari il pagamento entro la fine di aprile. Le sue affermazioni si sono infrante dinanzi alla burocrazia e alla lentezza delle procedure, che obbligano le aziende a triangolare con la regione e con l’Inps per far arrivare i bonifici sul conto dei dipendenti.
Ogni regione deve infatti processare le domande inviate dalle singole aziende, le quali specificano il numero dei dipendenti per cui viene richiesto il beneficio, il monte ore e la durata dell’erogazione. Dalle regioni le domande passano all’Inps, e da questa si ritorna infine ai beneficiari.
“Il meccanismo che prevede l’istruttoria delle domande da parte delle Regioni e successivamente l’erogazione del denaro da parte dell’Inps è troppo lungo e non funziona. Stiamo studiando come velocizzare il processo”, ha spiegato a Reuters il sottosegretario all’Economia Pier Paolo Baretta.

Non bastassero le procedure farraginose, alcune regioni hanno iniziato tardi ad inviare le domande. Secondo un funzionario Inps che ha chiesto di rimanere anonimo, ciò sarebbe in parte dovuto al dilagare dell’emergenza sanitaria, che ha costretto le strutture pubbliche a concentrarsi sulla gestione dei malati.
“È anche possibile che in un primo momento alcuni governatori del Nord abbiano pensato di gestire l’emergenza in autonomia”, dice Stanislao Di Piazza, sottosegretario al Lavoro del Movimento 5 Stelle.
Stando a quanto riferito dal presidente dell’Inps, Pasquale Tridico, la Lombardia, governata da una giunta di centrodestra a guida Lega, alla metà del mese aveva presentato solo qualche decina di domande, contro le decine di migliaia del Lazio.
La Lombardia, di gran lunga la regione più colpita dal virus, sta adesso lavorando per accelerare i tempi e sottoporre all’Inps tutte le 66.000 domande finora ricevute dalle aziende, riguardanti 197.000 lavoratori.
“Ad oggi gli uffici di Regione hanno processato 10.228 domande di Cassa integrazione e ne autorizzano più di 2.000 al giorno, comunicando immediatamente ad Inps i decreti in modo da provvedere al pagamento delle indennità ai singoli lavoratori”, dice Melania Rizzoli, assessore all’Istruzione, Formazione e Lavoro di Regione Lombardia.
“La situazione è stata particolare sin dall’inizio anche per quel che riguarda gli ammortizzatori sociali. Si pensi che ci sono tre procedure diverse: una per la ex zona rossa, una per la ex zona gialla e un’ulteriore procedura di cassa integrazione che coinvolge l’intero territorio nazionale”, ha aggiunto, facendo riferimento alle progressive chiusure del territorio man mano che il virus avanzava.

Nel Mezzogiorno, dove l’economia soffre di antiche fragilità, le conseguenze dello stop all’attività produttiva saranno probabilmente ancora più gravi di quelle con cui dovranno fare i conti le regioni settentrionali.
“Lavoro per un’azienda di pulizie in servizio presso l’NH hotel di Palermo, in zona Foro Italico. Siamo in cassa integrazione dal primo marzo e tuttora non abbiamo ricevuto un euro”, dice Giovanni Titone.
Nemmeno la sua azienda ha anticipato il pagamento ai dipendenti, e con due figli piccoli a carico è costretto a tirare avanti con il piccolo stipendio della moglie.
L’assessorato siciliano al Lavoro ha detto di aver ricevuto richieste da oltre 36.000 aziende. Al 23 aprile, dal sito Inps risultavano appena 13 domande processate. Sono diventate 715 il 27 aprile, anche se dalla Regione assicurano che sono molte di più.
“Secondo me, anche quando le restrizioni saranno allentate, sarà difficile riaprire l’albergo. Noi lavoriamo con i gruppi di turisti, e non arriva più nessuno”, aggiunge Titone.

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