Se la vita costa troppo avremo un indice per consolarci
E’ possibile dare una misura economica a un valore apparentemente intangibile come la qualità? Si può calcolare quanto ambiente o fantasia, legame con il territorio o coesione sociale, diritti o benessere dei cittadini, ci sia dietro una filiera produttiva? In altre parole, quanta parte dell’economia del nostro paese, e quindi del Pil, è riconducibile alla qualità e come tale può essere misurata e monetizzata? In un momento in cui la grave crisi finanziaria in atto ha dato maggior forza al dibattito da tempo aperto per trovare nuovi indicatori da affiancare al Pil, per leggere meglio la situazione attuale e le tendenze in atto, nasce il ‘Piq’, il ‘Prodotto interno qualità’, una nuova misura dell’economia per leggere l’Italia e affrontare la crisi
Un cantiere e un laboratorio di pensiero, pensato da Symbola insieme a Unioncamere e che vede la partecipazione di esponenti del mondo scientifico, di oltre 150 esperti di settore, ma anche rappresentanti delle principali associazioni di categoria da Confindustria a Coldiretti, Cna, Confartigianato, Confcommercio. Frutto di un originale mix tra innovazione, ricerca, creatività e saperi territoriali, tutti tratti distintivi della ‘soft economy’, il Prodotto interno qualità calcolato per il 2009 è pari al 46,3% del Pil, per un valore non inferiore ai 430,5 miliardi di euro. Dall’analisi della ricerca emergono i settori industriali di punta, dove elevata è la presenza di qualità, come la chimica, la metalmeccanica, l’elettronica e i mezzi di trasporto, ma si segnalano positivamente anche attività ‘tradizionali’ come il commercio e l’agricoltura. I settori del made in Italy si collocano, invece, intorno alla media, evidenziando però accentuazioni delle dimensioni qualitative relative allo sviluppo del prodotto/servizio (informatizzazione, sostenibilità ambientale, sicurezza sul lavoro).
“Oggi più che mai – spiega Ermete Realacci, presidente Symbola – visto il momento di grave crisi che stiamo attraversando, sia il mondo della politica che quello dell’economia sono chiamati a ripensare la questione del rapporto tra quantità e qualità dello sviluppo. A rafforzare il dibattito per trovare nuovi indicatori da affiancare al Pil, per leggere meglio la situazione attuale e le tendenze in atto. La nostra proposta, dunque, è quella di trovare un nuovo strumento per misurare l’economia e provare, nella crisi, a cambiarla. Quella che emerge dal Piq, del resto, è un’Italia che ha un grande bisogno di essere messa in rete, raccontata, rappresentata per quello che è, di riconoscersi in un progetto comune, quello della qualità, per essere più forte”.
“Il Piq intende ‘qualificare il Pil’, estraendone la componente più pregiata – evidenzia Claudio Gagliardi, segretario generale Unioncamere – e questa analisi può consentire a economie occidentali avanzate come la nostra di trovare importanti spazi di miglioramento. Del resto, la qualità costituisce un indubbio elemento di forza delle produzioni italiane, sul quale le nostre piccole e medie imprese hanno continuato a puntare per contrastare le difficoltà legate alla crisi. Ma la qualità, in questa fase più che mai, deve essere anche accompagnata da innovazione costante ed efficienza produttiva. Ecco perché è indispensabile intervenire per il rafforzamento delle relazioni tra le aziende e tra queste e i soggetti istituzionali e garantire lo sviluppo delle condizioni di contesto necessarie a crescere di più: dalle infrastrutture al credito, dai servizi pubblici alla semplificazione amministrativa”.